Ustica sape

Pensiero d’Amore dedicato alla nostra Isola: Ustica


[ id=12044 w=320 h=240 float=left] Le isole sono oggetti del desiderio.

Ognuno guarda un’isola, consciamente o no, con un atteggiamento che assomiglia molto a quello di un tiranno che adocchia un territorio.

Occorre molto tempo per entrare in rapporto con una terra o un paese, ma la sola vista di un’isola dal finestrino di un aereo o dal ponte di un traghetto scatena la nostra possessività. Il luogo è abbastanza piccolo da essere alla nostra portata, da diventare familiare, da emanare un’aria di esclusività, anche se è piuttosto indefinito.

Il complesso di terra, che si sta avvicinando, inglobato in un occhio, è per noi, il simbolo del desiderio e della proprietà.

L’isola forse replica una fantasia degli inizi dell’uomo.

Il feto, castello dell’ego, per i primi nove mesi di vita è in effetti un’isola, completamente circondata da un fossato amniotico e collegata alla terraferma da un ombelico.

L’isola è dunque la perfetta espressione territoriale dell’ego.

Ogni uomo ha una sua isola. Ogni uomo ha un suo mare.

Ustica è una scultura del silenzio che lavorarono le mani dell’aria, i guanti del cielo, la turbolenza azzurra, questo è il lavoro che fecero le dita trasparenti del vento.

Lo sguardo segreto della pietra, il dolce pendio sull’acqua, la grotta che ti accoglie con il suo tepore, la falesia che ti blocca il fiato e ti fa pensare subito a DIO, la protezione materna di una cala sassosa, la gemma preziosa di un faraglione solitario, sono i molteplici volti di queste amate solitudini, figlie del vento.

Un giorno lontano una brezza calda mi spinse tra questi litorali profumati ed io misi radici sui merletti della scogliera.

Ricevetti in fronte il bacio della nera pietra e le mie angosce si purificarono.

Toccai l’acqua del mare e la bocca della vita baciò la mia bocca.

Circondato di lagune verdi, di movimento azzurro, di acqua marina, di nubi, di pietre, ricominciai le vite della mia vita.

Il sole non bussò alla mia porta al mattino, entrò con prepotenza nella mia piccola casa azzurra sul porto, entrò dall’ingresso, dal balcone, dalle finestre, dal cancello, dal soffitto, dal pavimento, inondandola di luce pura e cadde orgoglioso nei miei occhi stupiti.”

Poi illuminò tutto e tutti.

Brillarono così i corpi degli uomini salmastri, degli uomini vicino all’acqua che lottano e sperano vicino al mare; delle donne verdi, delle donne nere; dei bimbi bruni come alghe, come pesci blu, che guizzano nel cielo.

Brillò, in un vicolo silenzioso, il corpo di un cane dorato, taciturno come una stella; aveva gli occhi tristi, come due stanche pietre di giada, limpidi come cristalli d’acqua marina: divenne il compagno della mia solitudine e fui la carezza della sua malinconia.

Gli anni inghiottirono lentamente la sua silenziosa vita e quando non potemmo più latrare insieme, seppellii con il suo corpo anche l’anima mia.

Nell’acqua marina bassa, tra i sassi lucidi di luce, lessi così la mia poesia che mi guidò e mi indicò la strada che ancora turbato ed inquieto percorro.

Al centro del bacino del Mediterraneo sorge la Nostra Isola, nera di lava, capezzolo del Monte Anchise; bella e selvaggia come una creola, si specchia nel più limpido e profondo mar Tirreno.

E’ semplice e ingenua come una bambina, preziosa come uno scrigno, sincera come un amore, ma fragile come una nave di cristallo e custodisce tra le piertre il suo prezioso fascino di isola incantata ed immortale.

Ogni uomo ha diritto al pane. Ogni uomo ha diritto a un’isola.

Antica isola, patria senza voce, perdona a noi chiacchieroni del mondo che d’ogni parte siamo venuti a sputare sulla tua lava, siamo giunti pieni di conflitti, di dissidi, di interessi, di sangue, di pianto, di guerre, in piccole file d’inimicizia, di sorrisi ipocriti, sopra la tavola del tuo silenzio.

Una volta di più siamo venuti a macchiarti.

Siamo maldestri noi passanti, ci investiamo coi gomiti, coi piedi, con le mani; con valigie inutili, scendiamo dalle navi, dagli aliscafi, dalle barche indossando vestiti superflui, scarpe scomode, cappelli funesti. Siamo invadenti, rumorosi, a volte anche irresponsabili.

Poi improvvisamente andiamo via dall’isola, frettolosi di fuggire ad attendere nuove nomine, desiderate promozioni, a concludere progetti faraonici, lasciamo così dimenticata l’ultima purezza, lo spazio sacro, lo stupore profondo, il silenzio azzurro.

Per la fretta, tra le pietre, lasciamo i sandali di gomma, i contenitori di plastica, i barattoli vuoti delle creme solari, gli occhiali rotti.

Nei pori dei sassi sacri, scolpiti dall’onda, riusciamo ad accartocciare i mozziconi delle sigarette e sulle balate di tufo morbido come carezza, scalfiamo i nomi delle fidanzate momentanee.

Forse sono soltanto i nostri regali che doniamo all’isola per non scordarsi di noi, anche se l’isola mai nulla ci chiese!

Se navigassimo in frotte verso l’isola, come a volte avviene, se tutti diventassimo saggi di colpo e accorressimo a lei, la uccideremmo in pochissimo tempo, la uccideremmo con immense orme, con le parole, gli sputi, le battaglie, con le nostre indelebili impronte, e anche lì terminerebbe l’aria, svanirebbe il sogno ed il silenzio, cadrebbero al suolo gli alberi diventando legni sporchi e tutto amaramente svanirebbe.

Mi duole l’anima per tutto questo, mia isola e mi duole anche il corpo ed il cuore, quando per conservare intatte le tue mani di seta nera, a volte mi impediscono di baciare le tue labbra di sale azzurro o mi negano di specchiarmi, ferito dalla vita, nei tuoi occhi blu cobalto.

Ti darei tutte queste mie privazioni ed anche il mio sangue pulsante, mia isola, se tutto ciò potesse soccorrerti, ma ho paura per le tue fragili guance di corallo, allora voglio soltanto dirti che, nell’ora del crepuscolo, quando affoga l’ultima luce sul mare, io me ne andrò, da solo e per sempre, senza risposte, con la bocca senza denti ma con le pupille pazze delle tue meraviglie, ad incontrare DIO!

Estratto dal Concerto in Multivisione “ISLANEGRA – IL MARE IN POESIA”, 2005 (Inedito)
di Domenico Drago.

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COMMENTO

Da Montecosaro Mariangela Militello

Luigi,

come per la questione “Giuni Russo”, ingloriosamente “archiviata”, condivido le tue parole, ricordandoti che il sorriso donato, seppur brevemente alla nostra isoletta, sarà la forza affinchè i “perfidi tiranni” che l’hanno ferita a morte avranno l’unico posto che meritano: l’oblìo della futur memoria….

Mariangela Militello

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Da Ustica Luigi Palmisano

“…noi chiacchieroni del mondo che d’ogni parte siamo venuti a sputare sulla tua lava, siamo giunti pieni di conflitti, di dissidi, di interessi, di sangue, di pianto, di guerre, in piccole file d’inimicizia, di sorrisi ipocriti, sopra la tavola del tuo silenzio...”.

Caro Mimmo, quanto tremendamente attuali risuonano i tuoi versi, ma la forza della tua Poesia credo faccia sbocciare un sorriso alla nostra Isola oramai ferita a morte da perfidi tiranni…

 

 

 

2 risposte

  1. “…noi chiacchieroni del mondo che d’ogni parte siamo venuti a sputare sulla tua lava, siamo giunti pieni di conflitti, di dissidi, di interessi, di sangue, di pianto, di guerre, in piccole file d’inimicizia, di sorrisi ipocriti, sopra la tavola del tuo silenzio…”.
    Caro Mimmo, quanto tremendamente attuali risuonano i tuoi versi, ma la forza della tua Poesia credo faccia sbocciare un sorriso alla nostra Isola oramai ferita a morte da perfidi tiranni…

  2. Luigi,
    come per la questione “Giuni Russo”, ingloriosamente “archiviata”, condivido le tue parole, ricordandoti che il sorriso donato, seppur brevemente alla nostra isoletta, sarà la forza affinchè i “perfidi tiranni” che l’hanno ferita a morte avranno l’unico posto che meritano: l’oblìo della futur memoria….
    Mariangela Militello

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