Ustica sape

Ricordo di Camillo in due puntate (scritto quando era presente tra noi)


Prima puntata

Camillo dal suo punto di osservazioneTra tante sedie, tutte bianche, ne spiccava una rossa, più grande delle altre, sbiadita dal sole e rigata per l’uso, riposta all’ombra della pergola; era quasi poggiata al muro, sotto il grande murale del “ritratto di donna”.

Era una sedia particolare, “riservata”, dalla quale bisognava alzarsi non appena arrivava il “legittimo” proprietario.

Tutti ad Ustica lo sapevano e mai nessuno del paese vi sedeva: chi lo faceva, rispettosamente cambiava posto, salutando con calore Camillo, che a sua volta si sistemava su quell’umile “trono”.

Ora la sedia rossa è stata curiosamente sostituita da due sedie bianche sovrapposte, ma il rituale non cambia, anzi, si ripete quasi quotidianamente.

Chi vede per la prima volta quella scena di ossequio quasi deferente rimane colpito; la “recita” si dà ogni qual volta la doppia sedia sia occupata: su questo involontario palcoscenico si materializza una specie di battaglia senza vincitori né vinti e ci si rende conto, inoltre, anche del perché il sedile sia rinforzato.

Camillo, anzi, “Camillone”, come viene chiamato a Ustica, arriva senza fretta, con passo quasi solenne, occhiali da sole ben inforcati, saluta, prende possesso della sua immobile “cavalcatura” e siede tra gli amici.

Uomo imponente, dal fisico robusto e massiccio, è persona molto affabile e gentile, ma dal carattere fermo e altero.

Da questi ingredienti miscelati tra di loro si ottiene un “grande” personaggio dell’isola, un uomo dal carisma indiscusso e indiscutibile, che io e Alfredo abbiamo sempre chiamato il rais.

L’avevamo subito “battezzato” con questo straordinario vocabolo corto, ma dall’ampio significato umano, vedendolo la prima volta sulla famosa e robusta sedia rossa, incuriositi e affascinati dalla sua loquela vivace e mai incerta, espressa con autorevolezza e serietà, alla quale, a volte,  diventa arduo replicare.

Basta la sua bonaria presenza per trovarsi a comunicare con una buona dose di esitazione; durante le discussioni più animate – si parli di politica o di calcio – la sua voce si riconosce subito, anche a distanza, emergendo sulle altre.

In effetti è difficile contraddire Camillo, anche perché non è necessario.

Con lui, protagonista vero e spontaneo di tante pagine della storia recente di Ustica, è sempre bellissimo discorrere per ascoltare e sentirsi raccontare l’isola con sentimento e partecipazione; quasi un privilegio prestare orecchio alla sua voce baritonale mentre scorrono le immagini di una vita intensa, carica di ricordi, tante gemme di un albero scarno che, a poco a poco, si riempie di foglie fino a esplodere in una chioma foltissima e verde, che in autunno, purtroppo, ingiallirà…

Camillo non è più quel giovanotto erculeo, stravagante e anticonvenzionale, che andava mare mare a caccia di cernie indossando il reggiseno (visto in tv!!!) o per riportare alla luce reperti archeologici, grandi ancore o, ancora, effettuare lavori complessi.

Ora vive il presente portando con sé, nell’intimo, memorie luccicanti come lustrini; quegli stessi lustrini che ornavano le dive del cinema che lui aveva conosciuto personalmente negli anni ’60 e ’70, quando – direttamente dal set cinematografico – accorrevano a Ustica insieme ad altri volti noti della cultura e dello sport per partecipare alle grandi serate di gala e presenziare alle manifestazioni che coronavano la “Rassegna Internazionale delle attività subacquee”, un evento che si svolge ancora e che ha riscattato l’isola dal suo presente (allora) di amara terra di confino.

In quell’esplosione di mondanità, che faceva dell’isola un salotto a cielo aperto di caratura mondiale, i veri protagonisti non erano (solo) i grandi personaggi che frequentavano l’isola e le sue vie: malgrado il via vai di celebrità, un ruolo di primo piano lo assumeva lui, Camillo.

Sempre presente, corteggiato anche dalla stampa, non sfigurava di certo nel trovarsi a tu per tu con gente molto famosa, abituata a frequentare la buona società e rappresentarla.

Nell’ambito della rassegna si svolgeva anche la gara di pesca subacquea, alla quale partecipavano i migliori nomi di questo sport. Vinceva naturalmente chi catturava la maggiore quantità di pesce e ci si poteva giocare il primato – al di là della numerosità delle prede –  per qualche etto in più.

Per questo motivo, attesissima, era la “pesatura”.

La bilancia, montata in alto e poggiata bene in vista su di un terrazzino, attendeva Camillo. Il momento era solenne.

La piazza straripava si persone in attesa di vederlo sollevare con un braccio, senza sforzo, magari a torso nudo, ricciole di 25/30 chili e riporle sul piatto. Mentre tutti trattenevano il fiato, l’ago si sarebbe mosso con le giuste oscillazioni per poi a fermarsi, segnando immediatamente il peso del pesce, fino a decretare il vincitore una volta effettuata l’ultima pesata.

Quella operazione non rappresentava un grande momento di mondanità, tuttavia era la sintesi di un evento importante, la gara, nella quale si combinavano rischio, capacità tecniche, interessi economici e voglia di emergere, non solo dalle profondità marine, ma, da un ristretto ambito riservato agli addetti ai lavori e ai semplici appassionati.

Vincere non era il risultato sperato per portare via un trofeo. In quel contesto di ampio respiro in cui cultura, arte e sport erano legati a filo doppio, poteva essere normale finire su di una copertina, avere un passaggio in tv, firmare un contratto pubblicitario.

Grazie al sapiente lavoro di chi aveva creduto con passione, fin dalla prima edizione della rassegna, a quel felice connubio tra effimero, scienza e il mare, Ustica era emersa dall’oblio per la seconda volta, così com’era avvenuto quando, dalle acque profondissime del Tirreno, aveva visto la luce, con vagiti e gemiti incandescenti, dopo un travaglio di dolore e spasmi inconsulti, bagnati da sudori vaporosi di lava e cenere.

Nelle parole di Camillo, i ricordi del bel mondo che approdava a Ustica negli anni passati sono tuttora vivi. Da quella sua voce chiara, dall’inconfondibile accento locale, emergono, come in una dimensione parallela, le figure di tanti personaggi famosi, come se fossero accanto a noi, a passeggiare per la piazza o a sorseggiare un cocktail ai tavolini del bar…

La loro fisicità ormai lontana ci appare quasi reale in monologhi appassionati e densi di una nostalgia che accarezza la commozione e il compiacimento.

Accade infatti che molte parole siano enfatiche e prendano nuova vitalità quando Camillo insegue con la mente tutte quelle situazioni vissute in prima persona, da protagonista, si tratti dei bagni di folla oppure della vista del mare dall’alto della rocca della Falconiera, descrizione, quest’ ultima, da parte sua, morbida ed estatica, ma sicuramente appassionata e struggente.

Attraverso gli occhiali – poggiati su questo grande viso sereno che fissa l’infinito intento a ricordare -, filtrano luce e immagini che parlano e si offrono visivamente all’interlocutore, come quando si porta indietro una video-cassetta per rivedere un filmato di qualche anno fa, che appare sullo schermo con i colori stanchi.

Il tempo ha lavorato molto su queste memorie, ne ha realizzate tante, ma non ha fatto straordinari, come sempre.

Il risultato è un racconto scritto su di un libro ormai ingiallito e sfogliato tante volte, con le pagine, ma soprattutto la copertina, consunte e lise, come si conviene a un’opera di successo.

Quanta nostalgia in quegli in quegli occhi vivi, contornati dalle lenti, quanta umanità in quelle parole adagiate sui ricordi…

Salvio Foglia di Cosenza

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