Ustica sape

Il Faro incatenato (12^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

Andrea, sentiva montare dentro di sé una inquietudine mai provata prima.

Il mare sarà il tuo destino, la tua vita… il tuo destino, la tua vita… il tuo destino… destino… destino…” Quelle parole risuonavano dentro di lui come le note di una chitarra all’interno della cassa armonica.

Il suo volto, tuttavia, era rimasto impassibile, proteso verso zù Carmelo; ascoltava quelle parole asciutte risuonare senza fronzoli, precise e chiare.

“… Se come dici tu, la mia vita sarà il mare, comunque non sarà una nave ad aspettarmi. Tu parli chiaro e bene. Il fanalista è un guardiano, vero? Il guardiano di un faro. L’avevo sentito dire da uno che aveva un parente che faceva questo mestiere. Che parola strana mi sembrava. L’aveva detta una sola volta,dopo averci pensato un po’. Io non avevo capito, ma poi disse che era guardiano a Stilo, aru faru.

Mastro Tonino Patti era sul punto di perdere la sua proverbiale pazienza. A casa sua andava molto più per le spicce e si seccava molto quando non se lo filava nessuno, specie quando erano a tavola a discutere.

Zù Carmelo non lo stava calcolato per niente, né aveva risposto alla sua domanda, che risuonava forte nella mente come un martello su un incudine: “Minchia, ma stu fanalista cu è, chi fa?”; era lì lì per rivolgere nuovamente l’interrogativo, con gli occhi di fuori, questa volta, quando le parole del figlio lo avevano provvidenzialmente preceduto, lasciandogli impressa sul volto una maschera rubiconda, intrisa di collera, che non aveva più motivo di essere.

Si trovò a deglutire e a parlare con un filo di voce, per non strozzarsi e recuperare la calma: “Guardiano! Aaaah! Ora ho capito! Guardiano! Tutto qua? O Carmelo, assai ci voleva? Ti possino fare cu l’acitu, a tia! Minchia, guardiano! Non ci posso credere!”

Una fragorosa risata riempì la bocca e il cuore di mastro Tonino, tutto intento, ora, a sbellicarsi e a recuperare in un battibaleno il buon umore e la serenità.

Lo scoppio di ilarità fu tanto spontaneo quanto contagioso.

Tutti presero a ridere, non con la (altro…)

Il Faro incatenato (11^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

L’amministrazione centrale aveva bandito il concorso per fanalisti, dal quale sarebbe uscito anche il guardiano dei nuovi fari dell’isola.

Vi avrebbe partecipato anche Andrea, che aveva studiato quel giusto per acquisire il titolo richiesto dal bando.

La notizia fu portata a conoscenza del giovane da un lontano parente che lavorava in Marina un giorno che andò a far visita al padre per chiudere una vecchia faccenda di eredità, ormai definita; bisognava prendere gli ultimi accordi prima di andare a firmare l’atto.

Zù Carmelo Lembi non era proprio della famiglia, aveva sposato una cugina in seconda del padre, ma, per uno strano scherzo della genealogia risultava più anziano.

Frequentava spesso casa  Patti e aveva preso a ben volere il ragazzo da quando era piccolo.

Per vostro figlio potrebbe essere l’occasione di avere un lavoro e sistemarsi”, aveva detto mentre pranzavano sul grande tavolo di noce, dove prima era stata stesa la pasta preparata per l’occasione.

Fanalista? E chi mi sta a dire? Cu sunnu ‘sti fanalisti, accendono le luci delle strade? Di che fanali parliamo, o Carmelo?”

Mastro Tonino Patti era rimasto interdetto. L’espressione del suo volto rifletteva mille interrogativi e le sopracciglia erano diventate due archi tanto tesi che potevano spezzarsi da un momento all’altro.

Era una persona a modo, riflessiva, sapeva ascoltare tutti, a casa e fuori, ma con la stessa imperturbabilità con cui si porgeva agli altri, prendeva decisioni irrevocabili, senza alterarsi e non c’erano santi. Raramente tornava sui suoi passi, ma sapeva ammettere, in coscienza, quando era il momento di cambiare idea.

Non si era fato intimorire, zù Carmelo, da quella domanda perentoria. Conosceva bene il carattere del suo interlocutore. Senza rispondere, riprese con distacco e ribatté, col suo piglio quasi autoritario, tanto caro agli uomini del suo rango, abituati a ricevere e dare ordini, anche se per lui la carriera militare non era stata una ambizione da inseguire.

Forse non è il migliore lavoro del mondo, ma è pur sempre un lavoro. Conosco qualcuno che ci può aiutare, ma, naturalmente, tutto dipende da te, Andrea. La commissione non fa sconti a nessuno, ma ci sta gente che sa apprezzare bravi giovani educati. Tu ce la puoi fare. Devi impegnarti, però.

Andrea pure era rimasto perplesso, più di suo padre, e non solo per quella notizia che poteva cambiare il suo futuro, ma, forse, avvertiva il peso di sentirsi, suo malgrado, al centro di una discussione, che avrebbe evitato volentieri, anche se la posta in gioco sembrava interessante.

Anche lui, evidentemente, non faceva fatica a comunicare la propria perplessità: aveva accolto a bocca aperta quella novità, rimanendo irrigidito come uno stoccafisso lasciato a seccare al freddo del nord.

Carmelo, io non ho capito. Chi fa? ‘U fa-na-li-sta che cosa fa?” Mastro Tonino era tornato calmo, come al suo solito. Passato il momento di incertezza ora incalzava l’amico rimarcando ogni sillaba.

La madre invece taceva e rimase ad ascoltare. La prospettiva non le piaceva proprio. Aveva messo in conto che Andrea sarebbe rimasto nel paese, ma, forse, neanche lei ci credeva più di tanto.

Quel figlio, a cui era molto affezionata, rappresentava qualcosa di particolare, specialmente dopo la morte improvvisa di Ninni, l’ultimo nato, a cui tutta la famiglia voleva un bene pazzo, che era il fratello prediletto di Andrea

Non aveva torto. Lavorare stabilmente, senza dipendere dal caporale – che la mattina, se andava bene, ti pendeva con sé per farti lavorare come un forzato nelle terre dei signori, lucrando su una paga già misera -, era sempre più difficile. Quegli anni erano difficili.

Le tasse aumentavano in continuazione e non risparmiavano neanche il pane.

Mentre Zù Carmelo parlava, degli altri familiari non fiatava nessuno. Mangiavano tutti in un silenzio rotto solo dal rumore delle stoviglie, tenuto assieme dalla ferma concentrazione dei commensali.

“Purtroppo per te, e non solo per te, se le cose andranno per il giusto verso, dovrai partire, andare via, da qui, questo ve lo devo dire, ma, del resto, quanta gente sta andando via con il piroscafo per cercare fortuna in America? Lasciano quasi tutti una famiglia: mogli, figli, si spopolano interi paesi… Tu, Andrea, non andrai così lontano, ma, se vorrai, il mare sarà il tuo destino, la tua vita.”

Salvio Foglia

Continua…

Il Faro incatenato (10^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

L’orizzonte appariva fasciato da una lieve coltre leggera, tenue quanto basta per lasciare intravedere emozioni di ogni tipo, impalpabile al tocco di ogni più remota sensazione.

L’imbarcazione andava incontro a una barriera di luci fragili e opache, inseguendo un confine che non era ancora netto e preciso. La sua scia, come flebile impronta timida e vana, accentuata qualche volta dagli affondi della prua, movimentava lo stato di quiete delle acque, quel giorno particolarmente percettibile.

Il mare sembrava ancora addormentato; solo qualche carezza, appena accennata da un filo d’aria in movimento, faceva rabbrividire l’immenso corpo inciso dal battello. La sua corsa apriva una ferita spumeggiante, subito rimarginata dalla calmeria onnipresente.

Tutte quelle anime vive, avvolte dalla fisicità dei corpi, erano ancora immerse non già in un’acqua che le circondava da ogni lato, piuttosto entro i limiti della propria esistenza, consegnate al nuovo giorno come un’offerta sacrificale per placare un tumulto interiore, ovvero per reclamare una dose di inseguita felicità…

Andrea non inseguiva un sogno, si (altro…)

Il Faro incatenato (9^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

Il nuovo giorno aveva guadagnato l’entrata. Andrea si ritrovava ora sull’imbarcazione, dopo essersi cullato nei suoi ricordi, aiutato in questo dalle timide onde che accarezzavano la chiglia.

Non era solo. Guardava fisso l’orizzonte e sentì gli occhi di qualcuno che lo stavano osservando.

Bastò un piccolo movimento del capo per incrociare subito lo sguardo di un ragazzo che stava poco lontano. Istintivamente abbassò gli occhi a terra, indugiando su alcune cime arrotolate, riposte ordinatamente per terra all’interno di un piccolo vano.

Li rialzò quasi subito, incontrando nuovamente due pupille dritte dritte che non mostravano alcun cedimento o imbarazzo, immobili su di lui, imperturbabili.

L’aria fresca della mattina regalava ancora qualche brivido, ma sentiva ancora più fastidioso quello sguardo indagatore.

Che hai da guardare?” L’altro non rispose, non fece alcun cenno; rimase praticamente indifferente, come se non esistesse.

Nel mentre, Andrea si rese conto di essere stato brusco, in fondo quel tale non sembrava minaccioso, semmai aveva qualcosa di strano, ma gli occhi, però, sempre fissi su di lui.

“Scusami, hai bisogno di qualcosa? Non volevo essere…” Stava per dire, scortese, ma non riuscì a finire la frase, perché era già arrivata la replica: “Niente. Io non ho niente da guardare, mi piacerebbe vedere e non so chi sei”.

“Ma se sono davanti a te! Che fai mi prendi…” Questa volta non finì la frase per la pronta risposta dell’altro. Stava infatti per dire in giro, ma la voce si soffocò in un rantolo. Tossì con forza, per espellere dalla gola, che sentiva ostruita da qualcosa che lo soffocava, anche la sensazione di imbarazzo che aveva inghiottito in un attimo, come quando si beve l’acqua d’un fiato e la bibita non prende esattamente la sua strada, fiaccando il respiro… (altro…)

Il Faro incatenato (8^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

Andrea era sul punto di crollare, la testa vacillava in presa ad un incessante torpore e gli occhi erano già semichiusi, ma come un miracolo inaspettato arrivò qualcosa di nuovo, che poi tanto nuovo non era per le vicende del mondo.

Il tempo non sarebbe tale senza un riferimento preciso, senza uno zero da cui partire per proiettarsi verso il ticchettio degli accadimenti sempre nuovi, spesso, paradossalmente, senza tempo. Ogni istante ha uno spazio da percorrere, altrimenti sarebbe ingabbiato in sé stesso, non esisterebbe.

Niente avrebbe senso, nulla potrebbe procedere verso un senso. Nessuna cosa, viva o inanimata che sia, potrebbe mutarsi, anche senza serbare l’apparenza che questo avvenga davvero. Potrebbe un fiore aprirsi e sbocciare? Riuscirebbe una montagna a perdere il suo contorno se non dovesse abbandonarsi al tempo? Senza tempo non c’è vita e ogni universo, umano e astrale, è rinchiuso nell’abisso del non è.

Lo zero stava ripartendo da un altro zero, che a sua volta era ripartito da un altro zero ancora, che a sua volta…

Il ragazzino spalancò gli occhioni, non senza un pesante sforzo intimo, guardò davanti a sè intontito e stanco.

Intorno a sé tanti paesi stavano dormendo ancora per terra, sul giaciglio dei loro remoti antenati e la notte aveva qualcosa di strano. Il buio non appariva più tale. L’intrigante velo nero della notte stava ora mutando aspetto: qualcuno stava aprendo lo spiraglio tanto cercato…

I suoi occhi, ora, non congiungevano con il (altro…)

Il Faro incatenato (7^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

Andrea si era imbarcato prima dell’alba, per inseguire il destino via mare.

Conosceva bene i solchi regolari impressi nella terra dalla zappa e dal lavoro di ogni giorno che, al tramonto, evaporava insieme alle gocce di sudore che si rintanavano nelle rughe della fronte.

Quella mattina avrebbe visto sorgere il sole da un deserto. La pista che avrebbe attraversato non era fatta di sabbia cocente e minuscoli granellini impertinenti, ma di acqua, a perdita d’occhio.

Una volta persi i riferimenti, dapprima con la banchina del porto, quindi con le tremule luci del campanile che dominava le altezze della città, si era trovato a tu per tu con un orizzonte nuovo, sempre uguale alla vista da ogni lato dell’imbarcazione, evanescente e, nello stesso tempo, lontano da ogni tempo.

Dentro di sé penso, guardando lontano, verso i primi accenni della luce: “oggi il sole non si affaccerà tra gli alberi dell’orto”.

La stella di fuoco venne fuori all’improvviso, fece il suo ingresso da una soglia senza forma, come se l’umore plastico del mare avesse aperto una invisibile botola ben salda tra le oscillazioni dell’acqua quasi ferma.

Il nero terrificante della notte si era dileguato, una mano invisibile tinteggiava il cielo, cancellando a poco a poco gli astri che bucavano il tetro mantello del riposo.

Dapprima era il nulla, ora, invece, la mano si faceva largo tra i colori accesi che segnavano il cammino di un orizzonte incandescente: il confine delle acque era diventato un crogiuolo e una fiammante spilla d’oro si sarebbe appuntata, di lì a poco, nel cielo, per rendere ancora più splendente l’abito azzurro che ogni uomo avrebbe indossato nei suoi pensieri, al risveglio.

Nessuna alba è uguale alle altre, passate e prossime.” Andrea era immerso nei suoi pensieri.

Lo spettacolo del sole nascente lo (altro…)

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