Ustica sape

Trovati reperti vulcanologici notevoli in contrada Tramontana, a Ustica


 

TROVATI REPERTI VULCANOLOGICI NOTEVOLI  IN CONTRADA TRAMONTANA, A USTICAPiù di centomila anni fa un imponente “flusso piroclastico” investì il versante orientale di Contrada Tramontana, a Ustica. Era una specie di valanga, costituita da ceneri, lapilli, vapor d’acqua e altri gas vulcanici a temperature elevate che, partendo da una vicina bocca vulcanica, si riversava, a ondate successive, sui terreni oggi situati tra la strada di Tramontana e Cala del Camposanto.
Il flusso investì in pieno una vegetazione che, a quei tempi, doveva essere lussureggiante. In particolare, nella zona oggi occupata dal Frantoio, proliferavano abbondanti cespugli di palme nane, note ai botanici col nome di Chamaerops humilis: una specie tuttora diffusa, soprattutto nelle regioni della cosiddetta macchia mediterranea. Le piante furono in gran parte bruciate e sepolte dai minuti prodotti vulcanici che si accumularono, strato dopo strato, trasformando vaste aree della campagna verde in un deserto cinereo.
Ma alcune delle caratteristiche foglie a ventaglio delle palmette nane, prima di disgregarsi del tutto, lasciarono le loro impronte fra i depositi piroclastici che, nel corso di decine di migliaia di anni, si sarebbero trasformati in lastroni di tufo. reperti geovulcanologici
Dobbiamo alla sensibilità di Giovanni Palmisano, agricoltore usticese e proprietario del terreno in cui sorge il Frantoio di Contrada Tramontana, il ritrovamento di alcuni di questi blocchi di tufo che recano le impronte delle piante distrutte da quel catastrofico evento. Da attento e appassionato raccoglitore di reperti, Giovanni non solo ci ha segnalato il ritrovamento dei frammenti di tufo emersi durante lavori di sistemazione del terreno, ma li ha resi disponibili al Centro Studi per una duplice utilizzazione: di ricerca e di esposizione didattica.
La ricerca, in corso di sviluppo per iniziativa mia e del dottor Sandro de Vita, vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano-INGV di Napoli, ha portato, come primo risultato, alla determinazione della specie della pianta cui appartengono alcune impronte, la Chamaerops humilis, appunto; mentre come secondo obiettivo si propone di stabilire, attraverso analisi chimiche, una correlazione sicura tra il flusso piroclastico e la bocca eruttiva da cui è stato generato (Probabilmente si trattò di una delle manifestazioni eruttive del cratere della Falconiera, attorno a 130.000 anni fa; ma finché non saranno completate le analisi, non si possono escludere altre ipotesi).
L’uso didattico dei campioni consiste invece nella loro esposizione nell’ambito della mostra “Ustica prima dell’uomo. Origine ed evoluzione di un’isola vulcanica”, attualmente allestita presso il Centro Studi di Ustica, e destinata a diventare permanente quando si realizzerà il progetto di un Laboratorio Museo di Geovulcanalogia a Ustica.
Proprio in questi giorni Giovanni Palmisano ha portato presso la sede della mostra al Centro Studi il più spettacolare blocco di tufo con l’impronta fossile, che è stato sistemato nella bacheca espositiva, e ha reso disponibile per le analisi chimiche un altro blocco che è stato già spedito ai laboratori del Vesuviano di Napoli.
FRANCO FORESTA MARTIN
Ustica, 23 ottobre 2014Nella foto: Giovanni Palmisano fra Vito Ailara e Franco Foresta Martin, consegna al Centro Studi il blocco di tufo con l’impronta fossile.

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