Spett.le Ustica SAPE
c.a. Pietro Bertucci
All’ultimo giorno, è arrivata la dovuta ordinanza sindacale di divieto di balneazione. Anche ad Ustica.
Come è noto, queste ordinanze sono meramente riproduttive di quella- generale per tutta la Sicilia- emanata dall’assessore regionale della salute.
Il meccanismo – atteso che è il sindaco il garante della salute dei suoi concittadini e non l’assessore regionale- è banale ed al tempo stesso, a mio avviso, frutto di cattiva coscienza del legislatore; perchè affermo questo? Presto detto. Mentre i siti balneabili sono indicati con la loro usuale denominazione ( “contrada vattelappesca, lido Abatangelo, cala minore….”) e sono immediatamente individuabili, quelli dove viene introdotto (o più spesso mantenuto da anni perchè le buone notizie sono di là da venire…) il divieto sono indicati con la latitudine e la longitudine. Con la conseguenza che, in assenza di cartelli nel sito, l’uomo della strada deve mettersi a controllare le coordinate geografiche.
Se a questo si aggiunge l’insana abitudine di fare copia ed incolla dei provvedimenti altrui senza farli propri comprendendone il significato letterale e logico prima di redigere gli atti conseguenti, vengono fuori dei provvedimenti in cui, al posto di Ustica si parla di Palermo e dove non si specifica che a cala Santoro il divieto di balneazione non c’è ma i divieti sono altri, confondendo il contenuto del DDG regionale della salute.
Attenzione, nessuno intende sindacare il sacrosanto diritto di sbagliare, di digitare erroneamente, senza per ciò solo essere indicati come illetterati ed arruffoni, soprattutto in un comune dove il segretario comunale è impegnato altrove, dove non c’è mai stato un direttore amministrativo, dove il v. sindaco dovrà andare in giro, coast to coast, assieme al comandante dei VVUU, per dare seguito all’ordinanza sindacale (magari offrendo, nel corso dell’attività principale, un sostegno medico all’occorrenza), però stiamo parlando di un’ordinanza contingibile ed urgente, presa a tutela della salute degli usticesi e di chi mette piede ad Ustica, quindi un po’ meno di rilassatezza, in materia, non guasterebbe, riservandosi gli strafalcioni per altre materie meno “impegnative”.
La vicenda mi ha portato a ricordare il mio primo incontro, di fine secolo scorso, con un dirigente d’area dell’assessorato regionale del lavoro, della formazione professionale, della previdenza sociale e dell’emigrazione, come si chiamava all’epoca un assessorato poi “spacchettato”per questioni di peso politico sotto la splendida e splendente amministrazione “Lombardo”; proprio ad inizio secolo un assessore regionale riuscì a restare nello stesso incarico (all’agricoltura) sia con la destra – presidente Giuseppe Drago- sia con la sinistra – presidente Angelo Capodicasa.
Era solo un esercizio preparatorio alla presidenza Lombardo; rimasto presidente dopo essere stato eletto con il centro destra ed aver revocato tutti gli assessori e governato per un anno da solo, aveva cambiato la giunta, affidando due assessorati al PD e nominato assessori due magistrati, tra cui il segretario regionale dell’ANM. Nota Bene: Lombardo, in quel periodo, era indagato per mafia.
Nella stanza del predetto dirigente, chioma candida, doppio petto nero gessato e forfora dilagante, c’era una grande scrivania, con in un angolo una pila di riviste da coiffeur o da sala d’aspetto in genere, sovrastate da un forbicione da sarto lungo almeno 30 centimetri, assieme ad un barattolo grigio di colla per carta col pennellino “coccaina” ( ancora non si usavano gli “stick”).
A che serviva quell’armamentario? A confezionare decreti, disposizioni di servizio, lettere e comunicazioni varie (la “PA si esprime sempre per iscritto!” mi avevano insegnato al doposcuola per alunni scarsi che ero solito frequentare all’università…) perchè l’occupante della stanza, grande ed orgoglioso seguace di un ministro dell’epoca, poi caduto in disgrazia assieme al suo partito che non fu processato nelle piazze ma nei tribunali ( come altri suoi ferventi discepoli tuttora inopinatamente attivi), lui stesso assessore comunale in un grande comune del palermitano, non sapeva- e non intendeva, quale deminutio del suo status dirigenziale – usare la macchina da scrivere, la sua calligrafia non era intellegibile e quindi…ritagliava dalle riviste ed incollava su un foglio bianco il testo dei suoi atti per passarli in quella forma a chi doveva provvedere a dattiloscrivere il suo parto intellettuale.
Ovviamente non era possibile che nel ritaglio azzeccasse sempre il modo ed il tempo ed era affidato all’intuito del redattore – non sempre sufficientemente attrezzato/a- l’esito rispettoso della consecutio temporum.
A mia memoria, l’esito non era sempre felice ed il ricordo di quei decreti che sembravano prodotti dall’anonima sequestri mi è rimasto impresso.
Adesso ci tocca ancora Resistere, Resistere, Resistere. Sobriamente.
Palermo, lì, 1 maggio 2025
Francesco Menallo