Ustica sape

Mimmo Drago canta il “Mancino”


A ENZO “IL MANCINO”

Caro Enzo, tu lo sai,
la tua pelle arsa dal sole,
i tuoi occhi piccoli e trasparenti di cielo lo sanno.
Anche la tua fronte sincera e rugosa,
e le tue mani forti abituate allo sforzo,
e le dieci sottili dita che si intrecciano
mentre pieghi e leghi il giunco
per creare la scultura di una gabbia,
da sempre lo sanno che tu sarai l’eterno “Re
di questa perla nera che brilla  tra le onde.

Qui nell’isola, da te appresi, che il mare e quanto mare,
fuoriesce da se stesso, in ogni momento.
Dice di si, dice di no:
dice si nell’azzurro limpido e quieto,
dice no nel galoppo e nella furia della spuma inquieta.
Non può starsene perennemente tranquillo,
Io sono il Mare”, va ripetendo battendo sulle pietre
senza però riuscire a convincerle;
allora le sfrega, le bacia, le bagna
e si colpisce il petto ripetendo il suo umido nome.
Nel buio assonnato e freddo del mattino,
nell’ora in cui tutto dorme e tace
ed il silenzio avvolge anche le ombre e le nuvole più scure,
la prua della piccola barca di Enzoil Mancino
già naviga solitaria e sicura verso il cappello della “Secca”.

Il grosso filo sprofonda nel blu, prima ancora dell’alba,
l’esca viva, trafitta dall’amo si agita e pulsa nella corrente.
Enzo scruta l’orizzonte, prende le mire, studia il vento e
s’intende con l’onda come stesse parlando con la moglie Elena.
Adesso potrebbe non vedere più, non ne avrebbe bisogno,
perché tra le sue dita che sfiorano il filo,
percepisce il lieve respiro della preda,
avverte l’impercettibile spostamento dell’acqua
provocato dalla grande coda,
riconosce l’attimo titubante o decisivo del predatore che gioca con l’esca.

Prega adesso Enzo,
dacci una mano,
siamo i piccoli pescatori,
gli uomini dolenti della riva,
abbiamo freddo e fame,
non esserci nemico.
Apri la tua scatola verde smeraldo e lascia nelle nostre mani
il regalo d’argento:
il pesce di ogni giorno.

Qui nella mia casa,
dove Elena con speranza aspetta,
ed in ogni casa dell’isola,
lo vogliamo,
perché anche se è fatto d’argento,
di cristallo o di luna,
nacque per la cucina dei poveri.
Non tenerlo per te, avaro,
mentre scivola freddo, come un lampo bagnato fra le tue onde.

Padre Mare!
grida ora con rabbia “il Mancino
con la sua voce sottile e roca,
mentre spruzzi di sale amaro
schizzano furiosi e puri sulla camicia di flanella a quadri che l’avvolge
e gli occhi si socchiudono
alle fiamme del crudele vento che brucia e punge
con infiniti aghi sul suo volto.
Non scuotere la tua schiuma, mare!
Non minacciare nessuno,
non infrangere contro il cielo la tua bella dentatura,
io ti rispetto ma dai ad ogni uomo, ad ogni donna e ad ogni bimbo
un pesce grande o piccolo che sia!

Donacelo ogni giorno e per i vicoli oscuri del borgo,
gli uomini grati,
che lavorano piegati nel freddo e nel silenzio,
dell’alba e della notte,
sorrideranno con un sorriso meno amaro!

Ti bacio il volto e le mani caro Enzo,
che il grande Mare ti protegga!

 

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