Ustica sape

La Regata dei Cinque fari a Palermo

regata“Seconda  edizione  della  Regata  dei Cinque fari, una delle regate che tocca alcuni dei posti più belli del Mediterraneo. La manifestazione organizzata dalla società Canottieri Palermo, inizia a riscuotere il gradimento dei partecipanti, infatti sono 25 le imbarcazioni al via, provenienti da tutta Italia, alcune motivate anche dalla possibilità di sfruttare una delle ultime occasioni per impinguare la classifica del Campionato Italiano offshore”. E’ quanto si legge sul sito internet della Fiv.

Partenza dalla borgata dell’Acquasanta. “Si inizia con delle leggere brezze che portano la flotta verso Ustica, tattici e tailer hanno il loro gran da fare per sfruttare questo vento quasi inesistente, in questo eccellono gli equipaggi di Acchiappasogni il Gs 40 di Giuseppe Polizzotti, ed il quasi gemello Alvarosky diFrancesco Siculiana”, fanno sapere dalla Fiv, aggiungendo: “Sono loro i primi a doppiare Ustica, mentre una parte della flotta, convinta di non arrivare in tempo a (altro…)

Il Faro incatenato (12^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

Andrea, sentiva montare dentro di sé una inquietudine mai provata prima.

Il mare sarà il tuo destino, la tua vita… il tuo destino, la tua vita… il tuo destino… destino… destino…” Quelle parole risuonavano dentro di lui come le note di una chitarra all’interno della cassa armonica.

Il suo volto, tuttavia, era rimasto impassibile, proteso verso zù Carmelo; ascoltava quelle parole asciutte risuonare senza fronzoli, precise e chiare.

“… Se come dici tu, la mia vita sarà il mare, comunque non sarà una nave ad aspettarmi. Tu parli chiaro e bene. Il fanalista è un guardiano, vero? Il guardiano di un faro. L’avevo sentito dire da uno che aveva un parente che faceva questo mestiere. Che parola strana mi sembrava. L’aveva detta una sola volta,dopo averci pensato un po’. Io non avevo capito, ma poi disse che era guardiano a Stilo, aru faru.

Mastro Tonino Patti era sul punto di perdere la sua proverbiale pazienza. A casa sua andava molto più per le spicce e si seccava molto quando non se lo filava nessuno, specie quando erano a tavola a discutere.

Zù Carmelo non lo stava calcolato per niente, né aveva risposto alla sua domanda, che risuonava forte nella mente come un martello su un incudine: “Minchia, ma stu fanalista cu è, chi fa?”; era lì lì per rivolgere nuovamente l’interrogativo, con gli occhi di fuori, questa volta, quando le parole del figlio lo avevano provvidenzialmente preceduto, lasciandogli impressa sul volto una maschera rubiconda, intrisa di collera, che non aveva più motivo di essere.

Si trovò a deglutire e a parlare con un filo di voce, per non strozzarsi e recuperare la calma: “Guardiano! Aaaah! Ora ho capito! Guardiano! Tutto qua? O Carmelo, assai ci voleva? Ti possino fare cu l’acitu, a tia! Minchia, guardiano! Non ci posso credere!”

Una fragorosa risata riempì la bocca e il cuore di mastro Tonino, tutto intento, ora, a sbellicarsi e a recuperare in un battibaleno il buon umore e la serenità.

Lo scoppio di ilarità fu tanto spontaneo quanto contagioso.

Tutti presero a ridere, non con la (altro…)

Il Faro incatenato (11^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

L’amministrazione centrale aveva bandito il concorso per fanalisti, dal quale sarebbe uscito anche il guardiano dei nuovi fari dell’isola.

Vi avrebbe partecipato anche Andrea, che aveva studiato quel giusto per acquisire il titolo richiesto dal bando.

La notizia fu portata a conoscenza del giovane da un lontano parente che lavorava in Marina un giorno che andò a far visita al padre per chiudere una vecchia faccenda di eredità, ormai definita; bisognava prendere gli ultimi accordi prima di andare a firmare l’atto.

Zù Carmelo Lembi non era proprio della famiglia, aveva sposato una cugina in seconda del padre, ma, per uno strano scherzo della genealogia risultava più anziano.

Frequentava spesso casa  Patti e aveva preso a ben volere il ragazzo da quando era piccolo.

Per vostro figlio potrebbe essere l’occasione di avere un lavoro e sistemarsi”, aveva detto mentre pranzavano sul grande tavolo di noce, dove prima era stata stesa la pasta preparata per l’occasione.

Fanalista? E chi mi sta a dire? Cu sunnu ‘sti fanalisti, accendono le luci delle strade? Di che fanali parliamo, o Carmelo?”

Mastro Tonino Patti era rimasto interdetto. L’espressione del suo volto rifletteva mille interrogativi e le sopracciglia erano diventate due archi tanto tesi che potevano spezzarsi da un momento all’altro.

Era una persona a modo, riflessiva, sapeva ascoltare tutti, a casa e fuori, ma con la stessa imperturbabilità con cui si porgeva agli altri, prendeva decisioni irrevocabili, senza alterarsi e non c’erano santi. Raramente tornava sui suoi passi, ma sapeva ammettere, in coscienza, quando era il momento di cambiare idea.

Non si era fato intimorire, zù Carmelo, da quella domanda perentoria. Conosceva bene il carattere del suo interlocutore. Senza rispondere, riprese con distacco e ribatté, col suo piglio quasi autoritario, tanto caro agli uomini del suo rango, abituati a ricevere e dare ordini, anche se per lui la carriera militare non era stata una ambizione da inseguire.

Forse non è il migliore lavoro del mondo, ma è pur sempre un lavoro. Conosco qualcuno che ci può aiutare, ma, naturalmente, tutto dipende da te, Andrea. La commissione non fa sconti a nessuno, ma ci sta gente che sa apprezzare bravi giovani educati. Tu ce la puoi fare. Devi impegnarti, però.

Andrea pure era rimasto perplesso, più di suo padre, e non solo per quella notizia che poteva cambiare il suo futuro, ma, forse, avvertiva il peso di sentirsi, suo malgrado, al centro di una discussione, che avrebbe evitato volentieri, anche se la posta in gioco sembrava interessante.

Anche lui, evidentemente, non faceva fatica a comunicare la propria perplessità: aveva accolto a bocca aperta quella novità, rimanendo irrigidito come uno stoccafisso lasciato a seccare al freddo del nord.

Carmelo, io non ho capito. Chi fa? ‘U fa-na-li-sta che cosa fa?” Mastro Tonino era tornato calmo, come al suo solito. Passato il momento di incertezza ora incalzava l’amico rimarcando ogni sillaba.

La madre invece taceva e rimase ad ascoltare. La prospettiva non le piaceva proprio. Aveva messo in conto che Andrea sarebbe rimasto nel paese, ma, forse, neanche lei ci credeva più di tanto.

Quel figlio, a cui era molto affezionata, rappresentava qualcosa di particolare, specialmente dopo la morte improvvisa di Ninni, l’ultimo nato, a cui tutta la famiglia voleva un bene pazzo, che era il fratello prediletto di Andrea

Non aveva torto. Lavorare stabilmente, senza dipendere dal caporale – che la mattina, se andava bene, ti pendeva con sé per farti lavorare come un forzato nelle terre dei signori, lucrando su una paga già misera -, era sempre più difficile. Quegli anni erano difficili.

Le tasse aumentavano in continuazione e non risparmiavano neanche il pane.

Mentre Zù Carmelo parlava, degli altri familiari non fiatava nessuno. Mangiavano tutti in un silenzio rotto solo dal rumore delle stoviglie, tenuto assieme dalla ferma concentrazione dei commensali.

“Purtroppo per te, e non solo per te, se le cose andranno per il giusto verso, dovrai partire, andare via, da qui, questo ve lo devo dire, ma, del resto, quanta gente sta andando via con il piroscafo per cercare fortuna in America? Lasciano quasi tutti una famiglia: mogli, figli, si spopolano interi paesi… Tu, Andrea, non andrai così lontano, ma, se vorrai, il mare sarà il tuo destino, la tua vita.”

Salvio Foglia

Continua…

Il Faro incatenato (10^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

L’orizzonte appariva fasciato da una lieve coltre leggera, tenue quanto basta per lasciare intravedere emozioni di ogni tipo, impalpabile al tocco di ogni più remota sensazione.

L’imbarcazione andava incontro a una barriera di luci fragili e opache, inseguendo un confine che non era ancora netto e preciso. La sua scia, come flebile impronta timida e vana, accentuata qualche volta dagli affondi della prua, movimentava lo stato di quiete delle acque, quel giorno particolarmente percettibile.

Il mare sembrava ancora addormentato; solo qualche carezza, appena accennata da un filo d’aria in movimento, faceva rabbrividire l’immenso corpo inciso dal battello. La sua corsa apriva una ferita spumeggiante, subito rimarginata dalla calmeria onnipresente.

Tutte quelle anime vive, avvolte dalla fisicità dei corpi, erano ancora immerse non già in un’acqua che le circondava da ogni lato, piuttosto entro i limiti della propria esistenza, consegnate al nuovo giorno come un’offerta sacrificale per placare un tumulto interiore, ovvero per reclamare una dose di inseguita felicità…

Andrea non inseguiva un sogno, si (altro…)

Il Faro incatenato (9^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

Il nuovo giorno aveva guadagnato l’entrata. Andrea si ritrovava ora sull’imbarcazione, dopo essersi cullato nei suoi ricordi, aiutato in questo dalle timide onde che accarezzavano la chiglia.

Non era solo. Guardava fisso l’orizzonte e sentì gli occhi di qualcuno che lo stavano osservando.

Bastò un piccolo movimento del capo per incrociare subito lo sguardo di un ragazzo che stava poco lontano. Istintivamente abbassò gli occhi a terra, indugiando su alcune cime arrotolate, riposte ordinatamente per terra all’interno di un piccolo vano.

Li rialzò quasi subito, incontrando nuovamente due pupille dritte dritte che non mostravano alcun cedimento o imbarazzo, immobili su di lui, imperturbabili.

L’aria fresca della mattina regalava ancora qualche brivido, ma sentiva ancora più fastidioso quello sguardo indagatore.

Che hai da guardare?” L’altro non rispose, non fece alcun cenno; rimase praticamente indifferente, come se non esistesse.

Nel mentre, Andrea si rese conto di essere stato brusco, in fondo quel tale non sembrava minaccioso, semmai aveva qualcosa di strano, ma gli occhi, però, sempre fissi su di lui.

“Scusami, hai bisogno di qualcosa? Non volevo essere…” Stava per dire, scortese, ma non riuscì a finire la frase, perché era già arrivata la replica: “Niente. Io non ho niente da guardare, mi piacerebbe vedere e non so chi sei”.

“Ma se sono davanti a te! Che fai mi prendi…” Questa volta non finì la frase per la pronta risposta dell’altro. Stava infatti per dire in giro, ma la voce si soffocò in un rantolo. Tossì con forza, per espellere dalla gola, che sentiva ostruita da qualcosa che lo soffocava, anche la sensazione di imbarazzo che aveva inghiottito in un attimo, come quando si beve l’acqua d’un fiato e la bibita non prende esattamente la sua strada, fiaccando il respiro… (altro…)

Il Faro incatenato (8^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

Andrea era sul punto di crollare, la testa vacillava in presa ad un incessante torpore e gli occhi erano già semichiusi, ma come un miracolo inaspettato arrivò qualcosa di nuovo, che poi tanto nuovo non era per le vicende del mondo.

Il tempo non sarebbe tale senza un riferimento preciso, senza uno zero da cui partire per proiettarsi verso il ticchettio degli accadimenti sempre nuovi, spesso, paradossalmente, senza tempo. Ogni istante ha uno spazio da percorrere, altrimenti sarebbe ingabbiato in sé stesso, non esisterebbe.

Niente avrebbe senso, nulla potrebbe procedere verso un senso. Nessuna cosa, viva o inanimata che sia, potrebbe mutarsi, anche senza serbare l’apparenza che questo avvenga davvero. Potrebbe un fiore aprirsi e sbocciare? Riuscirebbe una montagna a perdere il suo contorno se non dovesse abbandonarsi al tempo? Senza tempo non c’è vita e ogni universo, umano e astrale, è rinchiuso nell’abisso del non è.

Lo zero stava ripartendo da un altro zero, che a sua volta era ripartito da un altro zero ancora, che a sua volta…

Il ragazzino spalancò gli occhioni, non senza un pesante sforzo intimo, guardò davanti a sè intontito e stanco.

Intorno a sé tanti paesi stavano dormendo ancora per terra, sul giaciglio dei loro remoti antenati e la notte aveva qualcosa di strano. Il buio non appariva più tale. L’intrigante velo nero della notte stava ora mutando aspetto: qualcuno stava aprendo lo spiraglio tanto cercato…

I suoi occhi, ora, non congiungevano con il (altro…)

Il Faro incatenato (7^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

Andrea si era imbarcato prima dell’alba, per inseguire il destino via mare.

Conosceva bene i solchi regolari impressi nella terra dalla zappa e dal lavoro di ogni giorno che, al tramonto, evaporava insieme alle gocce di sudore che si rintanavano nelle rughe della fronte.

Quella mattina avrebbe visto sorgere il sole da un deserto. La pista che avrebbe attraversato non era fatta di sabbia cocente e minuscoli granellini impertinenti, ma di acqua, a perdita d’occhio.

Una volta persi i riferimenti, dapprima con la banchina del porto, quindi con le tremule luci del campanile che dominava le altezze della città, si era trovato a tu per tu con un orizzonte nuovo, sempre uguale alla vista da ogni lato dell’imbarcazione, evanescente e, nello stesso tempo, lontano da ogni tempo.

Dentro di sé penso, guardando lontano, verso i primi accenni della luce: “oggi il sole non si affaccerà tra gli alberi dell’orto”.

La stella di fuoco venne fuori all’improvviso, fece il suo ingresso da una soglia senza forma, come se l’umore plastico del mare avesse aperto una invisibile botola ben salda tra le oscillazioni dell’acqua quasi ferma.

Il nero terrificante della notte si era dileguato, una mano invisibile tinteggiava il cielo, cancellando a poco a poco gli astri che bucavano il tetro mantello del riposo.

Dapprima era il nulla, ora, invece, la mano si faceva largo tra i colori accesi che segnavano il cammino di un orizzonte incandescente: il confine delle acque era diventato un crogiuolo e una fiammante spilla d’oro si sarebbe appuntata, di lì a poco, nel cielo, per rendere ancora più splendente l’abito azzurro che ogni uomo avrebbe indossato nei suoi pensieri, al risveglio.

Nessuna alba è uguale alle altre, passate e prossime.” Andrea era immerso nei suoi pensieri.

Lo spettacolo del sole nascente lo (altro…)

Il Faro incatenato (6^ puntata)

faro di Punta Cavazzi

Lei avrebbe voluto incalzarlo, stava per ribattere, ma il marito proseguì.

Il mare era bello, formava delle piccole increspature. Il cielo, tutto una nuvola. Guarda fuori: ora non sta piovendo, ma il tempo non mi piaceva: poteva iniziare a cadere la pioggia e ci saremmo certamente bagnati.”

Anna riuscì a dire, sempre cercando di non alzare la voce, sibilando: “Vabbè, ma che centra, è tornato terrorizzato, altro che giochi, o mi sbaglio?”

Aspetta, aspetta! Siamo arrivati al faro e anche là, quante domande. Deve imparare a non farne troppe, ‘sto figlio nostro, ma comunque…; A un certo punto rimane fermo in mezzo alla strada, non è strano? Stava inseguendo chissà cosa, forse una lucertola, buh, e si pianta là come una freccia. Aveva visto altre volte il faro, eppure poco fa era come se lo vedesse per la prima volta…

Ho capito, Mimmo, ma farlo tremare di spavento non mi sembra giusto. Un faro è un faro, passiamo sempre di là, mò, tutta sta novità così, all’improvviso. Chissà cosa gli hai fatto e gli hai detto!

Credimi, Anna, ascolta un attimo, fammi finire, aspetta, aspetta, per favore. Con tutte quelle nuvole c’era come una luce strana, che ne so, qualcosa di diverso dal solito. Toto guardava ammirato, con occhi strani. La gabbia di acciaio che avvolge il faro lo aveva colpito.

Stava fermo, non gli interessava nient’altro, non guardava nient’altro. Stava contando i rettangoli di metallo ad uno ad uno! Poi mi ha chiesto cos’era quella cosa che toccava il cielo…

In quel momento ho tirato fuori la storia del gigante. Quel faro è proprio un animale, bello grande com’è! Certe volte fa strano anche a me passare di là: una strada c’è, non è che puoi andare da un’altra parte… Magari lo guardi mille volte e non ci fai mai caso, stai pensando ad altro, sei distratto, però ci può essere quella volta e può succedere che…(altro…)

Il Faro incatenato (5^ puntata)

faro di Punta CavazziAnna e Mimmo erano rimasti in silenzio. Il bambino stava nel grembo della madre. Mentre piangeva l’aveva stretta con forza, tanto che sul braccio si era formato un piccolo segno rosso, ma, poco a poco, aveva mollato la presa.

Toto dormiva profondamente adesso. Una ciocca di capelli era caduta di traverso sulla fronte tagliandola obliquamente, tanto da dargli l’aspetto di un piccolo briccone. Ora il suo faccino era rilassato, le tracce di tensione sparite, le lacrime calde e saporose un ricordo evaporato; del trambusto e dello spavento non rimanevano che attimi sui quali qualcuno stava ancora meditando per riportarli a galla.

Nella stanza non si udiva che il suo respiro regolare, caldo. Un flebile lamento si era levato mentre lo stavano adagiando sul letto, poi più nulla. La mamma lo aveva avvolto in una coperta per farlo stare caldo e conciliare il riposo.

Faceva piccoli passi per non fare rumore e con un movimento lento aveva chiuso dietro di sé la porta.

Mannaggia a te, ma come ti è saltato in mente di raccontargli quella storia del gigante, io non lo so… Che assurdità! Sei impazzito? Hai visto come era teso? Ma ti sembra modo questo?

Ad Anna non era andato giù che il piccolo fosse ritornato a casa stravolto e fuori di sé. Non avrebbe voluto  vederlo in quello stato, impaurito e piangente, per una storiella inventata, per giunta.

Mi sembra di stare in una casa di pazzi! Perché lo hai fatto spaventare? Lui, poverino, non aveva visto l’ora di uscire con te. E tu, invece, che cosa hai fai? Lo porti in giro raccontandogli storie paurose… Ma va, va!

Come avrebbe voluto gridare, se solo avesse potuto! Le toccava parlare a bassa voce, misurando il tono, ascoltandosi in continuazione se non voleva svegliare Toto. Le parole erano profondi aliti sparati a raffica in direzione del marito, ma che frustrazione!

Mimmo la guardava muto, tra il serio e il divertito, il volto senza espressione; sentiva le parole della moglie colpirlo come pioggia insistente, quella sottile che sembra niente, ma inzuppa fino a dentro. Fissava i suoi occhi ardenti che lo stavano inchiodando, ma non si sentiva troppo a disagio.

Tante volte avevano litigato, ma che strano sentirsi riprendere a bassa voce. Le parole sembravano una calamita, lo attiravano; si sforzava di cogliere ogni sfumatura perché non era facile percepire tutto, anche se il senso era chiaro, anzi, di più. Eppure in cuor suo avrebbe voluto sbellicarsi dalle risate, rimarcando il senso di ridicolo della situazione.

Anna ci sarebbe rimasta malissimo e non aveva proprio voglia di far degenerare lo sfogo di lei in una lite senza senso.

E pensava: “Guai a toccare il figlio a mamma sua! Anna mia, hai ragione a dire queste cose, fermati un attimo, però, io…”

In quel momento i suoi occhi verdi, che continuavano a fissare Mimmo, indugiarono con forza su di lui, mentre la sua voce ansimante tacque all’improvviso, quasi che il pensiero del marito si fosse staccato dalla testa per fare da argine alla piena, riuscendo nell’intento di farla zittire.

Da inespressivo, lo sguardo divenne conciliante, nessun senso di contrarietà fece capolino dai muscoli della faccia, che, comunque, non erano certo rilassati, nello sforzo di apparire sereno di fronte a lei.

Mimmo ora sorrideva, ma non rideva. Era una resa.

Solo qualche attimo prima avrebbe voluto aprirsi ad una risata irriverente, e invece no. L’arco inferiore delle labbra ripiegava verso il basso, rifugiandosi in un sorriso che avrebbe fatto pensare ad un ebete… Non c’era alcun timore attorno alla sua bocca, gli occhi si illuminavano di comprensione e il capo ora annuiva.

Sono stato un idiota! Non pensavo che Toto reagisse in quella maniera…”

Anna stava per ribattere qualcosa, ma il braccio di Mimmo, parato in avanti con la mano aperta, ebbe l’effetto di farla desistere.

Scusami, ma devo parlare, pure io. Vorrei dirti una cosa. Intanto, che mi dispiace. Lungo la strada stavamo giocando, scherzavamo. Toto è un curioso, fa un sacco di domande. Poi scappa da una parte all’altra della strada, lo sai, no? Ora guarda una pianta; dopo una pietra. Si sposta e corre dietro una farfalla. Ne fa di cose un bambino! Una trottola! Io appresso a lui. E’ un bravo bambino, ma si muove assai, mamma mia, ci ha gli spiriti! Per stargli dietro…

Pensa, si era arrampicato su un muretto, da lì era saltato per andare verso una collinetta, ma con il piede aveva spostato una pietra e mi sono spostato in tempo; me la sono trovata sui piedi. E’ stata una fortuna che non mi è caduta in testa sennò a ‘st’ora…

Salvio Foglia

Continua…

Il Faro incatenato (4^ puntata)

faro di Punta CavazziPunta Cavazzi guarda lontano. Non ha terraferma di fronte a sé. Il suo corpo è la nera scogliera che si tuffa nel profondo di un’anima blu: essa contiene segreti inaspettati, ormai alla mercé di chiunque voglia immergersi alla ricerca di un’avventura nuova.

Nera. Nera come il sole che abbronza e scurisce, nera come l’anima di chi ha predato le sue rive portando via il corpo, la vita, la speranza di molti. Nera come tutta l’isola, nata da immense fontane rubescenti e caldissime, proiettate verso un cielo altrettanto scuro, che hanno trovato riposo in una sembianza senza colori, in cui il tempo si è addormentato sovrapponendosi ad altre età adagiate una sull’altra…

Nigrizia, negritudine, neritudine. Impetuoso è l’intimo di questo luogo, che ora riposa e tace per sempre, portando su di sé una eredità senza arcobaleni. Sei nera, Ustica, punto.

E ti distingui per questo.

La tua bellezza ha il colore della pece, e ti rende unica, immensa nella tua piccolezza, dolce nella tua pronunciata asperità.

Qualcuno ha scritto queste cose, ma ha lasciato che il suo nome scivolasse tra gli scogli, andasse giù, si perdesse tra i recessi più profondi per rimanere sconosciuto.

Punta Cavazzi è un luogo di svolta, un crocevia. E’ un punto di arrivo o di partenza, o, spesso, un luogo in cui sostare incrociando orizzonti profondamente diversi, a seconda di come si colloca lo sguardo. Terra e mare realizzano contemporaneamente sfondi diversi, laddove la prima contorna strade e sentieri e fa da confine all’altro, che si bea degli umori del tempo, infischiandosene delle stagioni che regalano luce e colori nello scorrere del mondo.

Rimane al vertice di una linea immaginaria che divide in due Ustica, il cui prolungamento è solo acqua dalla fisionomia cangiante: ora tremolante, ora piatta, ora furente; è estremità di una terra già di per sé estrema, un dito puntato a indicare altre lontanissime sponde, prosecuzione ideale di un mondo galleggiante che non ha modo di sfuggire alla sua intima fisicità.

Proprio quest’ultima la tiene ancorata saldamente a un destino fatale. La terra è assediata perennemente dal mare e non vi è modo di sottrarsi da questa realtà che ogni giorno cementa negli individui la consapevolezza di un amaro destino, certo, ma anche la fierezza di essere isolani, artefici ogni giorno delle proprie eventualità, da gestire senza poter chiedere niente a chicchessia.

La vita scorre bagnando i giorni di sudore e di acqua marina, ancorati a una terra austera e generosa che garantisce quel poco che basta per non essere orfani del mondo.

Il faro abita punta Cavazzi, ma ormai, da oltre un secolo, è parte integrante di essa; né è allo stesso tempo occhio e nume tutelare, procace figura muta che assorbe e schiarisce la ventura ai naviganti nell’oblio della notte.

I dardi fiammeggianti della sua lanterna colpiscono regolarmente i recessi delle tenebre e ne scandiscono intensamente tempo e movimento. Una luce curiosa e breve taglia l’aria profumata che si muove sopra una coperta così scura che non riflette le stelle che si posano sopra la coltre gemella del cielo. Nella notte è notte anche per il mare che non è se non per i continui bisbiglii che gli suggerisce la brezza o per il ruggito che la tempesta gli impone.

Vive la notte, per essa è nato; dall’interno del suo manto ne svela il corpo come un amante soddisfatto e si offre al suo abbraccio fin quando l’alba non spegnerà il suo fuoco. Mentre si schiudono le porte per l’ingresso del giorno, il mistero dell’oscurità si rifugia nell’oblio, pronto a rivelarsi ancora quando la luce morirà ancora: solo allora si accenderà di nuovo una piccola stella adagiata sugli scogli, pronta a dispensare barlumi di vita. Si oscura, nel frattempo, il grande occhio luminoso, termina il girotondo splendente che prende l’orizzonte teneramente per le mani.

Il buio si sfalda, portato via da linee infuocate e il faro si riveste dei caratteri imponenti della sua mole e impavido, sulla lava nera, rimane muto a contemplare tutti i colori che danno forma alle cose.

Ha una giacca di metallo. Una larga rete di acciaio lo avvolge e lo veste di grandi rettangoli saldati; sembra un gran signore e ha pure un cappello luccicante in testa, un gran signore tutto d’un pezzo.

Le lacrime del tempo che passa gli hanno lasciato qualche ruga, la giacca non è più linda come una volta, i segni della ruggine prolungano le linee nette dei riquadri e lasciano tracce scure.

I gabbiani lo scrutano con deferenza, non si avvicinano, hanno rispetto dell’età e non si avvicinano più di tanto, anche se qualcuno, ogni tanto, gli lancia un timido saluto, sfiorando con le ali l’ampia balaustra di ferro che circonda la sommità appena sotto la grande lampada spenta.

Salvio Foglia da Cosenza

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COMMENTO

Da New Orleans Maria Compagno Bertucci

Non sapevo che Salvio era così Bravo e che era innamorato di Ustica

Bravissimo.

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Da Palermo Mimmo Drago

Bellissimo!

A proposito di Fari!… (3^ puntata)

faro di Punta CavazziToto ascoltava il genitore e, nello stesso tempo, prendeva parte a quelle parole come se il protagonista fosse stato lui. Ed era vero. Non se rendeva conto, ma intensa era la partecipazione, vivo l’interesse al racconto: lui, lui era dentro la voce, nei confini di quella storia si trovava a fianco di ogni particolare…

Il mare. La grande distesa d’acqua si perdeva all’infinito: era ovunque; prendeva i colori dal cielo e ne aggiungeva altri: alternando la sagoma nera delle secche con quella cobalto del fondale che si perdeva oltre ogni profondità.

“Ehi, papà, ma il mare ha gli amici? E’ così grande, dove va a giocare?”

La curiosità di andare oltre l’orizzonte, che tanto lo aveva affascinato mentre scendevano verso lo scoglio del Medico, suggeriva a Toto quella strana domanda, come se l’azzurro liquido, che aveva carpito buona parte dei suoi sguardi durante la camminata, fosse partecipe della sua vita e, come tale, potesse fare le stesse cose che Toto immaginava normali per sé: correre, parlare, giocare…

Mimmo non si era scomposto; era pur sempre la domanda di un bambino che fantasticava appresso al suo racconto.

“Il mare ha tanti amici, piccolo, ne ha così tanti che sono dovunque, non solo a Ustica, e tutti vorrebbero giocare con lui; non sempre riesce ad accontentarli tutti, è tanto buono, ma sa essere anche…”

Voleva dire cattivo, anzi, crudele, come spesso sa essere con coloro i quali cercano pane nelle sue acque. Si era fermato per non dipingere un quadro tetro che potesse suscitare nel figlio un’altra situazione di ansia e, per evitare che potesse accorgersi di quella incertezza, cominciò a tracciare un grande cerchio nell’aria, poi un altro e un altro ancora.

“Immenso, grande, grandissimo!” Si fermò giusto in tempo per non dire “gigantesco”, appena una minima frazione di tempo dopo aver pensato quella parola, che avrebbe riportato il piccolo verso il turbamento dal quale lo stava appena appena distogliendo.

 Vedi Toto, tu prima hai detto che il mare parlava. Hai ragione, ci diceva qualcosa. Vedi, il mare ha sempre qualcosa da raccontare ai suoi amici, perché gira sempre tutto il mondo. E’ così grande che in poco tempo fa tanta strada. Ricordi la camminata che abbiamo fatto io e te? E’ così!” Tracciò una piccola linea immaginaria nell’aria con fare serio, quindi cominciò a farne un’altra, girando su sa stesso più volte, quasi fino a stordirsi.

Lui ne fa una ancora più lunga, tesoro mio, e mi stanco solo a pensarci nel fartela vedere. Sa tante storie e vuole che tutti le sappiano, per questo abbiamo sentito una voce questa mattina. E mentre parlava si avvicinava, ricordi, no? Per farsi sentire meglio: è il suo modo di giocare con noi. Me lo ha detto una volta un signore, quando ero piccolo come te; anche a lui piaceva giocare con il mare.”

Toto non stava più nella pelle: “Anche io posso parlargli, allora, la prossima volta che usciamo assieme mi aiuterai a giocare con lui? Voglio anche io parlare con il mare!”

“Certo, figlio mio, ma deve essere un segreto. Il mare parla solo con chi vuole lui, potrebbe arrabbiarsi se…”

“E allora no, non fatelo arrabbiare, è così calmo oggi, lasciamolo buono buono. Mi dispiacerebbe davvero…”

Anna si era intromessa nel racconto divertita. Sorrideva. All’inizio avrebbe voluto zittire il marito, sicura che con quelle storielle avrebbe di nuovo intimorito il figlio, provocando un’altra crisi di pianto; ma aveva lasciato fare.

Toto fortunatamente si era tranquillizzato, e proprio grazie alle parole misurate di Mimmo, che ora si sforzava di riportare la calma a sé stesso e al piccolo, dopo lo spavento che gli aveva provocato avvicinandosi al faro e descrivendolo come un gigante in catene.

In ogni caso lei non voleva che si esagerasse, qualche parola di troppo poteva sempre rompere l’incantesimo e compromettere una rinnovata serenità.

Allora Mimmo ripiegò: “No, no, non facciamolo arrabbiare, va bene, Toto? Se si arrabbia il mare sono guai. Dopo non vuole giocare più e, quindi, diventa muto. Come facciamo a parlare con lui? Ha ragione mamma. Basta non dire niente a nessuno e il gioco è fatto!

Cosa avesse in mente Toto in quel momento era intuibile. Sarebbe scappato fuori supplicando il padre di portarlo nuovamente ad ascoltare la voce di un nuovo amico, ma, stranamente, qualcosa gli consigliava di non farlo. Con gli occhi al soffitto, stava già pensando cosa chiedere, come avrebbe potuto accennargli anche solo un semplice saluto. E rimuginava.

Se c’è ancora quella voce cosa gli dico?

La sua mente era in fermento e, questa volta, il gigante non era il primo dei suoi pensieri. Non ci pensava più adesso. Lui voleva parlare al mare, voleva assaporare ancora quel sibilo sottile che aveva stuzzicato la sua fantasia e dentro di sé i pensieri facevano a gara per trovare una soluzione, spintonandosi nella testolina arruffata.

Cosa gli dirò? Buh, poi glielo chiedo a papà, che lo conosce…

Il peso di quella nuova ansia ora premeva sulle palpebre, che si chiusero al sonno come la porta di casa che Mimmo aveva appena accostato per far tacere ogni desiderio.

Salvio Foglia

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