Ustica sape

Un breve racconto di 5 anni di amministrazione L’isola – Salvatore Militello Sindaco


Teatrino dei pupi a Palermo con Mimmo Cuticchio nel “racconto della Natività con i pupi”.


 

Il ciclo dell’epica cavalleresca/Il sacro nell’Opra dei pupi

Teatrino dei pupi,  via Bara all’Olivella, PALERMO.
Biglietti: 10/5 euro
25/26/27 dicembre, ore 18,30   “La Natività”
2/3/6 gennaio, ore 18,30             “Incoronazione di Carlo Magno”

Mimmo Cuticchio1Per tutto il periodo di massimo splendore dell’Opra, gli spettacoli dei pupi componevano un grande mosaico in cui solo la Storia dei paladini di Francia si rappresentava per 371 serate consecutive.  Il lungo ciclo veniva interrotto di tanto in tanto, soltanto dalle cosiddette “serate speciali” che si srotolavano in un’unica rappresentazione e raccontavano la storia di un eroe, un santo, un brigante: Mimmo Cuticchio ha recuperato questa tradizione e composto un ciclo di spettacoli che andrà avanti nei week end fino all’Epifania, nel Teatrino di via Bara all’Olivella, a Palermo.

E siamo finalmente arrivati al recupero di uno dei passaggi più famosi delle “serate speciali”: ovvero il racconto della Natività con i pupi. Il giorno di Natale, a Santo Stefano e la domenica successiva – 25, 26 e 27 dicembre, sempre alle 18,30 – al Teatrino dei pupi di via Bara all’Olivella (a Palermo) – Mimmo Cuticchio riassumerà la sacra rappresentazione della nascita di Gesù, dall’annuncio dato ai pastori, all’arrivo dei Magi da oriente guidati dalla stella cometa che indica il luogo dove è nato il Bambino; quel Bambino che i prodigi del cielo annunciano già re. La messinscena è realizzata secondo i canoni e le regole del teatro dei pupi di tradizione. Immutato, dunque, resta l’impianto complessivo della rappresentazione classica della natività, del viaggio inteso come percorso simbolico verso una meta. Ma ci sono anche le sequenze sceniche, tipiche del teatro dei pupi, con il Consiglio, gli incanti, le battaglie, così come la recitazione specifica dell’opera dei pupi che vuole sia il primo oprante-puparo che dirige lo spettacolo, a fare tutte le voci.

IL PROSSIMO e ULTIMO SPETTACOLO: “Incoronazione di Carlo Magno” – 2/3/6 gennaio

Dopo la sua incoronazione a Roma, Carlo Magno, si ferma alcuni giorni nella cittadina di Sutri. Qui conosce Orlandino, figlio di sua sorella Berta che è vissuto per sette anni con la madre in mezzo ai boschi. Orlandino da piccolo ha dovuto affrontare soprusi e discriminazioni. I suoi genitori, sebbene per motivi diversi, sono stati costretti alla fuga e a vivere di stenti in un paese lontano, separati dai propri cari. La sua vivacità infastidisce Gano di Magonza che lo vuole fare arrestare ma Carlo Magno, innamoratosi della sua scaltrezza, vuole sapere di chi è figlio e lo fa seguire da due suoi paladini che scoprono la verità. Carlo Magno, la sorella Berta ed il nipote Orlandino, partono per Parigi.

Ufficio stampa: Simonetta Trovato 333.5289457

Ustica, il quinto racconto di “ANTI” – di Hann


[ id=2565 w=320 h=240 float=left] Erano anni ed anni che i nostri cugini siciliani ci invitavano ad andare a visitare la loro terra.
Tante volte avevamo promesso che le nostre vacanze isolane sarebbero state prossime e per altrettante volte non era stato vero.
Stavolta però rischiavamo di combinare guai pesanti.
Avete provato voi a fare una promessa ad un siciliano e poi non mantenerla?
Oltre ad essere un grande sgarbo si corrono dei rischi indifferenti.
Mio cugino Alberto, con le nostre mogli, non potevamo o meglio non volevamo più rifiutare.
Peraltro una bella vacanza in Sicilia, ospitati e riveriti dai nostri cugini, Costantino e Giovanna, era il meglio che si potesse desiderare.
Avevano rincarato la dose di gradevolezza alla vostra vacanza proponendoci anche qualche giorno a Ustica,(da ustum = bruciato n.d.r.) dove Roberto e tutta la sua numerosa famiglia avrebbe fatto meraviglie per averci loro ospiti. L’ospitalità dei siciliani è proverbiale, ed è talmente sincera e sentita che è perfino commovente.
Prima della partenza ne parlavamo con tanto entusiasmo che l’amico Daniele e Nadine, sua moglie, chiesero di poter partire assieme a noi. Naturalmente dicemmo di si con sincerità e con piacere.
Partimmo dall’aeroporto di Bologna contenti come bambini in fuga dalla scuola per una bella gita scolastica.
A Palermo, dotati di un pulmino (alla fine eravamo in otto), ci aspettavano Costantino e Giovanna, anche loro con gli occhi che brillavano di contentezza.
Trascorremmo i primi due giorni a Palermo e dintorni. Visitammo i posti più significativi. Daniele era contento perché sapeva che l’isola davanti alla città si chiama l’Isola delle Femmine. Per questo si dava anche un po’ di arie e per via delle femmine si sentiva un po’ più birichino.
Trascorremmo i due giorni successivi a San Vito lo Capo, una gran bella località turistica fra Palermo e Trapani.
Costantino e Giovanna sempre perfetti. Ci avevamo messo a disposizione la loro bella villa sul mare, tanto grande e bella quanto confortevole.
Non mancammo di visitare Erice, che assomiglia a San Marino, e conosciuta per il Centro di Ricerche Nucleari diretto dal famoso professor Zichichi. Visitammo anche le altrettanto famose saline di Trapani.
Il quinto giorno Il traghetto ci porto tutti e otto a Ustica.
Ustica è bellissima, non l’ho scoperta io. L’isola si trova nel Mar Tirreno a circa 70 km a nord-ovest di Palermo e purtroppo è conosciuta per un tragico evento, ovvero l’abbattimento di un aereo di linea stracolmo di civili innocenti, in tempo di pace, da parte diciamo di “non sappiamo chi”.
In effetti l’abbattimento dell’aereo avvenne in un tratto di mare ben più vicino a Ponza , ma i soccorsi , partiti da Ustica, hanno dato questa connotazione sbagliata.
Gli usticesi vivono ancora con animo contrastato l’evento tragico. L’isola è diventata famosa, si è vero, ma pur sempre per un evento negativo.
A conti fatti però, vorrebbero scrollarsi di dosso il tragico ricordo e rimanere solamente un’isola meno nota ma felice.
L’ospitalità di Roberto e di tutta la sua bella e numerosa famiglia fu straordinaria, senza pari. Ci davano di tutto e di più. Anticipavano ogni nostro desiderio. Quasi ci soffocavano come fa una madre apprensiva col proprio bambino al primo giorno di scuola.
Per noi avevano affittato due villette stupende dalle quali si dominava il paesino che scendeva al mare, il porticciolo pieno di barchette, ed il mare color cobalto.
E’ ovvio pensare ad Ustica come ad una località marinara con un’attività lavorativa che si dedica completamente alla pesca, ma così non è.
Non appena si sale e si abbandona il porticciolo si incontra una distesa di campi tanto ben coltivati da fare invidia a quelli della bassa pianura padana.
Infatti i battelli da pesca di una certa consistenza erano solamente tre, due dei quali del nostro amico Roberto che, assieme ai tre figli maschi e a marinai dipendenti, aveva avviato una prospera attività.
Le due imbarcazioni erano le famose “spadare”, barche dedicate alla pasca dei pesci spada di cui il mare era ricco.
Una sera Roberto ci propose di imbarcarci e di far parte dell’equipaggio per la battuta di pesca. Che gran regalo ci fece. Io, Alberto e Daniele accettammo senza indugi, Costantino preferì rimanere a terra. Capimmo dopo che si sacrificò per non lasciare sole le nostre mogli. La mattina successiva le avrebbe accompagnate in qualche località gradevole.
Salpammo a mezzanotte. Noi ospiti salimmo a bordo in tutta fretta evitando di farci vedere. Le barche da pesca sono strumenti di lavoro e per legge devono imbarcare solo gli addetti, ma Roberto era disposto a correre qualche rischio.
Dopo circa un’ora di navigazione arrivammo nella zona di pesca. Calammo in mare qualche chilometro di rete dalle maglie larghissime. Le reti ogni tanto erano segnalate da segnali luminosi funzionanti a batteria, onde evitare che qualche nave o imbarcazione vi ci si infilasse dentro e, circa alle due tutti a letto. Ora avrebbero lavorato le reti.
Albeggiava quando Roberto ci svegliò con un buon profumo di caffè, profumo che in mare è ancora più gradevole che in qualsiasi altro posto al mondo. Quindi tutti al lavoro per salpare le reti.
I verricelli facevano perfettamente il loro lavoro e venivano manovrati alla perfezione. Non appena Daniele vedeva, affacciato a poppavia, un pesce nella rete, dava l’ordine di fermare il verricello e noi, a braccia, salpavamo la rete con impigliato il pesce. Il tutto fatto con maestria, sia per non perdere la preda che per non rovinarla.
Daniele ordinò di fermare il verricello tante e tante volte. Il lavoro diventò faticoso per tutti ma con dei risultati eclatanti. La stazza media dei pesci spada si aggirava sui 50/60 chili, mentre quella dei tonnetti della specie “alalunga” era di 7/8 chili. Molti di questi erano andati persi per via delle maglie della rete tanto larghe, ma pazienza, la giornata di pesca era stata davvero fruttuosa.
Roberto ci gratificò non poco e forse con una bugia, dicendoci che una pescata così consistente non la facevano più da mesi e mesi.
Alle 8 del mattino avevamo riempito la stiva frigorifera.
In porto già il camion frigo ci aspettava. Con l’aiuto della gruetta di bordo traslocammo tutto il pescato sul camion frigo che poco dopo sali sul traghetto per Palermo.
Capimmo che il nostro segreto non era più tale. Tutti, in paese, erano compiaciuti della nostra bella esperienza in mare. Sapevano e dicevano che a bordo ci eravamo comportati bene e con competenza. Insomma era più l’aiuto apportato che i danni arrecati. Tutti ci erano amici e le vigorose pacche sulle spalle non ce le risparmiavano di certo. L’intero paese ci dimostrava simpatia ed i “romagnoli” erano stati accolti ed accettati con grande amicizia.
Ci chiedevano del nostro mondo, della nostra riviera, del nostro mare, delle nostre barche, della nostra pesca, della nostra vita . E se qualcuno era stato in Romagna lo rivendicava con tutto l’orgoglio possibile e ci raccontava fatti vissuti nella nostra terra.
L’indomani mattina, domenica, l’appuntamento era in chiesa, alla messa delle nove. Dopo la messa la processione dedicata alla Santa Vergine.
La statua della Madonnina, portata a braccia, precedeva tutto il corteo dei fedeli e la processione si snodava in discesa, lungo la strada serpeggiante che dalla chiesa, posta nella parte alta del paese, arrivava al porticciolo..
La banda suonava brani mariani e quando terminava, il parroco, a voce altissima gridava “Viva Maria” e tutti fedeli rispondevano “Viva Maria”. Quindi si recitava: Ave Maria piena di grazia….e alla fine della preghiera ricominciava la banda.
Gli usticesi ci salutavano con lo sguardo e con l’accenno di un sorriso. Erano palesemente contenti di averci fra di loro.
La Romagna rossa e anticlericale veniva smentita dalla nostra partecipazione e loro ci erano grati per questo.
Il corteo arrivò sul piccolo molo e la statua della madonnina fu portata a bordo di uno dei tre grandi battelli, ben addobbati con fiori per l’occasione.
La processione sarebbe continuata in mare, avrebbe fatto il giro dell’isola portando beneficio ovunque, in terra ed in mare. A noi era riservato un posto sul battello che seguiva. Saltammo a bordo e lo fece anche Alberto che, sbagliando la misura andò a sbattere violentemente con la fronte nella struttura d’acciaio che portava le reti.
Il momento fu fatale. Successe tutto in quell’attimo di silenzio assoluto fra la musica della banda ed il “Viva Maria”.
Il gong che produsse la testata di Alberto sull’acciaio fu un suono orribile, ma ancora di più fu l’imprecazione oscena che spontanea, non voluta ma violenta, usci dalla sua bocca.
Non lo avevo mai sentito imprecare ne tanto meno bestemmiare ma, sopraffatto dalla sorpresa e dal dolore lo fece, e bestemmio volgarmente e drammaticamente la Santa Vergine.
Sul molo scese un silenzio drammatico. Tutti, tutti avevano sentito, prima il gong poi la bestemmia.
Angelo cominciò a piangere, per il dolore fisico ma soprattutto per il suo comportamento, Costantino, come tutti, era a occhi sgranati e con la bocca aperta, poi finalmente un grido, liberatorio, imperioso, confortante, vero e sentito come non mai: “Viva Maria!” e tutti a gran voce “Viva Maria”.
La processione in mare sarebbe stata suggestiva, ma l’angoscia ci attanagliava il cuore e ci stordiva la mente.
Quel pomeriggio rimanemmo rintanati in casa. La cena, in casa di Roberto, ottima come al solito, non riuscì a rincuorare nessuno. Poi arrivò il prete che, con poche e sagge parole ci consigliò di lasciare l’isola quanto prima.
La mattina dopo, col primo traghetto partimmo per Palermo.
Il paese era svuotato. Nessuno da nessuna parte. Solo gli addetti al traghetto, ma a testa bassa.
Ciao Ustica, purtroppo non ci rivedremo mai più.

Notizie da Gatteo e dintorni – http://altrahanna.blogspot.com/

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