Ustica sape

Ustica, l’isola che non ti aspetti: tra storie di coloni e il filo segreto con gli USA


La piccola isola del Mediterraneo, ingiustamente meno celebrata di altre, ad ogni angolo rivela qualcosa di sorprendente. Dai colori delle case alle storie di pirati, dalle grotte marine all’insospettabile legame con il baseball, un piccolo diamante che non può lasciare indifferenti

byDario Vetrano Sicilian Post

Ustica, torre dello spalmatore di Ivan Vargiu

Fra tutte le isole siciliane, ho una particolare predilezione per Ustica, forse perché è inspiegabilmente meno famosa delle altre o forse perché il suo nome è ingiustamente legato a una strage che con Ustica non ha niente da spartire o forse perché Ustica “balla da sola”, mentre le altre lo fanno chi in coppia (Lampedusa e Linosa), chi in gruppo (Egadi ed Eolie). Ma poi penso che il motivo vada trovato dentro al tipico scrigno a forma di isola (bel mare e pesce fresco), che nasconde storie e aneddoti di una varietà e in una quantità davvero sorprendenti per un’isola così piccola.

A pochi metri dalla banchina, ancora sull’aliscafo, si è accolti da case color pastello e sprazzi di nero (lava) e verde (foglia), il tutto incorniciato nell’azzurro del mare (in basso) e del cielo (in alto). Sull’isola ci sono due torri per l’avvistamento di pirati saraceni, e a questo, in Sicilia, ci siamo abituati. Ma a storie di coloni e territori da conquistare come nel far west americano, dove ad andare avanti erano i più abili e disperati, disposti a tutto pur di possedere un fazzoletto di terra e la possibilità di autosostenersi, no. E a Ustica ci fu una lotta fra coloni e pirati barbareschi durante il ‘700. Diverse volte il Regno di Sicilia provò a far approdare stabilmente nuovi abitanti sull’isola e ogni volta i pirati arrivavano, uccidevano e portavano via i prigionieri. Fino a quando un gruppo di esperti di vita isolana, i liparoti, arrivarono e vi si installarono (non a caso Ustica e le Eolie condividono il culto per San Bartolomeo).

Più avanti nel tempo, sull’isola soggiornarono forzatamente anche confinati di ogni tipo: delinquenti comuni, mafiosi e anche prigionieri politici come Gramsci, i fratelli Rosselli, il caricaturista Giuseppe Scalarini. A ricordare quest’ultimi ci sono le targhe affisse sulle dimore che li ospitarono che segnalano tutt’oggi il loro passaggio a Ustica: tra i più rinomati intellettuali italiani che per qualche tempo animarono la vita culturale di un’isola con un tasso altissimo di analfabetismo. A ricordare invece i confinati libici, frutto della stagione coloniale italiana, c’è il cimitero, ovvero una terrazza sul mare divisa in due: da una parte le tombe cattoliche, dall’altra quelle musulmane dei libici morti sull’isola. E sulla parete del camposanto c’è una feritoia a forma di finestra da cui si vedono passare una barchetta, uno yacht, il traghetto “Antonello da Messina” o un carico di sommozzatori.

Sì, perché Ustica è anche il paradiso degli aficionados di Scuba diving che vengono da tutto il mondo per immergersi negli abissi della prima riserva marina protetta d’Italia, a cui fanno da cornice le grotte marine dell’isola: una azzurra, una verde, a seconda del colore assunto dall’acqua in un momento preciso del giorno per effetto dei raggi solari.

L’isola non è preda del turismo di massa e i servizi sono buoni, dal noleggio dello scooter al tour in mare passando per l’alloggio. La gente è cordiale e si ha il tempo di parlare, di chiedere informazioni, di scambiarsi storie ed esperienze; l’unica spiaggia di sabbia dell’isola è frequentata il giusto e c’è molto rispetto. Tra una mangiata di pesce fresco e un’altra (difficile mangiare male nei ristoranti nell’isola) è possibile che durante una visita alla cantina Hibiscus (l’unica di Ustica e la sola fuori dalla provincia di Trapani a poter produrre vino da zibibbo IGT Terre Siciliane) ci si imbatta nel fondatore Nicola Longo: la degustazione diventa una piacevole chiacchierata con annessa visita al piccolo ma fornitissimo museo contadino e al vigneto che, protetto dai ficodindia, scoscende in maniera ordinata verso il mare.

E poi la scoperta più singolare: Ustica – così piccola e isolata – fu per almeno tre decenni una delle capitali italiane del baseball. Di questo incredibile sogno rimangono tanti ricordi, filmati, interviste, documentari e soprattutto un campo molto grande a forma di diamante, lì nella parte alta dell’isola, accanto a un antico mulino di colore bianco. Fra l’erba alta e una sensazione irrimediabile di abbandono, ho visto dal vivo il mio primo tabellone segnapunti dello sport più iconico d’America: quello di Hemingway del vecchio e il mare o di Joe Di Maggio da Isola delle femmine che sposa Marilyn Monroe, la migliore amica dei diamanti, per l’appunto.

Spesso ho pensato a quale soprannome avrei potuto dare all’isola in un articolo che avrei scritto, e allora, e giustificatamente, penso di aver trovato il nome perfetto per Ustica: il Diamante. Del Tirreno o del Mediterraneo, lo decida qualcun altro.

Fonte: Sicilian Post

 

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