Maschere di Carnevale
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Caro Nuccio,
ritengo che per completare il tuo articolo sul carnevale usticese di una volta, che hai descritto così bene da ricevere parecchi meritati complimenti, occorreva un vecchio testamento di carnevale.
Io ieri facendo un pò di ordine fra le mie cose, ne ho trovato uno che, con piacere, invio ad Ustica sape.
Credo sia la “ciliegina” che completa la tua brillante iniziativa.
[ id=1429 w=320 h=240 float=left] [ id=1430 w=320 h=240 float=left] [ id=1431 w=320 h=240 float=left]ciao Pietro,
questa mattina mia Zia Pina Verdichizzi mi ha portato altre foto, ma sono foto con abiti di carnevale fatte sul terrazzo di casa di mia nonna Peppina sempre in via San Giacomo e mi raccontava di un tizio di nome Marusca, gay, che cuciva abiti per la gente di Ustica, era un tipo molto divertente e fantasioso….si era trasferito ad Ustica e ci è rimasto non so per quanto tempo. Nelle foto si notano abiti con tessuto tipo giapponese che saranno stati meravigliosi solo per i colori che dovevano avere..
un abbraccio.
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Erano tempi in cui, nella nostra Isola, il Carnevale era particolarmente sentito e una sala da ballo, in assenza di ristoranti, discoteche, cinema, computer, c’era pochissima TV , fungeva spesso da catalizzatore e dava la possibilità ai giovani per conoscersi meglio e poi ” farisi ziti ” …….
Un fatto sorprendente era che nelle serate di ballo le strade erano, anche ad ora tarda, un via vai di mascherati e considerato che si era in un periodo invernale si può dire che nel paese c’era un grande fervore di vita attiva grazie alla ricorrenza del Carnevale, che, come la Chiesa, a quei tempi, fungevano spesso da punto di incontro.
Il numero dei ” carnilivari ” esposti era di solito più alto di quello della sale da ballo e da ragazzini facevamo il giro del paese per ispezionarli tutti. Una volta in un balcone ne scoprimmo uno che aveva in bocca una pipa accesa, con fumo vero che usciva ad intervalli regolari e in testa un cappello che era una novità, era un cappello da baseball forse ricevuto in un pacco dagli zii d’America …..
Per vestire un ” Carnilivari ” serviva un paio di pantaloni, una camicia vecchia, un paio di scarpe, una sciarpa, una coppola ed una maschera. La camicia e i pantaloni si riempivano di paglia e si prestava molta cura a modellare gli arti e le forme del corpo che alla fine sembravano esseri animati; piccole opere d’arte, perché tanti facevano a gara a chi poteva mostrare agli altri il migliore ” carnilivari “, da esporre nel proprio balcone o davanti la porta di casa, magari dotato dell’ultimo marchingegno moderno ( vedi pipa fumante ) …..
In paese c’erano almeno mezza dozzina di case dove, durante il periodo quasi bi-mensile Carnevalesco, i proprietari trasformavano la stanza d’ingresso in sala da ballo. Si ballava tre volte la settimana; tutti i familiari e gli invitati prendevano posto all’interno della stanza con le sedie posizionate rigorosamente verso il muro e in qualche casa si vedevano sedie appese pittorescamente ai muri che venivano usate, in doppia fila, in caso di necessità, rendendo la stanza ancora più piccola . Una volta alla settimana ogni invitato preparava un dolce o altro e si teneva una piccola festa la “schiticchiata”; così oltre al ballo c’era lo “spuntino” con scambio di dolci come la popolare ciambella e i gigi, o, molto spesso, panini o pizza all’usticese o alla napoletana con pomodoro fresco schiacciato …
Il vecchio grammofono suonava dischi a 78 giri e in ogni casa da ballo c’era una persona responsabile per fermarlo, quando la canzone finiva, e dopo per farlo ripartire e stava particolarmente attento a preservare il disco dai “pittiddi” (coriandoli) che noi ragazzi eravamo soliti lanciare. Le maschere erano rudimentali, di solito un cappotto o giacca alla rovescia e uno scialle che copriva la testa con un vecchio cappello sopra faceva all’uopo ( niente maschere o costumi comprati nei negozi come oggi ), ma quando dagli indumenti indossati o attraverso qualche spiraglio si poteva scoprire chi era il mascherato, allora cominciavano le illazioni, le risatine, gli ammiccamenti a cui il mascherato provava a reagire gesticolando e parlando ma usando solo la gola e non la lingua il che produceva un suono gutturale che di solito gli consentiva di non essere riconosciuto.
Maschere famose e ricorrenti annualmente erano ” l’arabo e l’africano” con interpreti di solito Camillo e Tano Pellerito i quali a viso scoperto per assomigliare il più possibile ad un nero si imbrattavano la faccia di carbone e si riempivano la bocca con una fila di denti fatti con spicchi di aglio fresco brrrrr…
C’erano anche le maschere di gruppo : il dottore, il poliziotto, il ferito e l’imputato che entravano nella stanza da ballo con barella, bisturi siringa ecc…. si assisteva ad una vera e propria sceneggiata con la battuta finale del poliziotto che condannava l’imputato : ” all’ingastro ! ” e tutti risate ….
Con il Carnevale erano abbinati scherzi ma alcuni a volte erano un pò pesantucci. Un ricordo per tutti: la sala da ballo era nella casa di Salvatore Russo ( detto Tuturi o Pavolo ), un mascherato buttò un po’ di puzzolina nel pavimento per scherzo, Tuturi se ne accorse fermò la musica e disse al mascherato : ” tu da mascherato e io da borghese ti sfido fuori ! ” .Il mascherato era suo nipote di 16 anni .
L’ultimo giorno di Carnevale, Martedì grasso, vi era la lettura del testamento e conseguentemente le varie “lascite” (compreso l’augurio di “figli maschi” a chi in quel periodo si era fatto “zitu”), con il concitato atto finale, quando si bruciava il Carnilivari
Ricordi! … Erano tempi in cui anche il Carnevale era una cosa seria!!!
(*)Le foto, che si avvicinano molto al Carnevale di Ustica, sono state fatte fa Paolo di Salvo e provengono da Bagheria news.