La bussata di San Giuseppe: una tradizione che viene da lontano
«Nella festa del Patriarca S. Giuseppe quasi tutte le famiglie invitano a pranzo tre poveri rappresentanti la Sacra Famiglia i quali non solo si cibano a sufficienza della minestra di ceci e del pesce, detta la tartaruga, e delle sfinge e di altre pietanze condite di stretto magro tutto che vi sia l’indulto del santo Padre e se ne ritornano in casa con la loro minestra e col pane. Una delle famiglie però, cui piace assumerne la devozione in quel giorno un discreto pranzetto di svariate pietanze di quanto può apprestare l’isola di ogni sorta di pasta, , pesce e frutta, si scelgono però un bambino il più vezzoso, il più bello ed una giovinetta la più amabile e modesta dell’età di 13 o 14 anni vestita a foggia di Maria SS., ed un vecchio povero dalla lunga e bianca barba, indi così vestiti si portano in Chiesa, assistono durante la messa solenne, e finita la messa escono e fanno il giro del paese, bussano a tre porte delle case degli Usticani, da cui sono respinti alludendo a ciò che dice il vangelo: et sui eum non receperunt: il popolo targhe in folla appresso a quei tre personali ed alla ripulsa che ricevono, questo si sciolgono in lacrime, infine bussa il vecchierello con man timida all’uscio di quella casa, ove è il pranzo imbandito, e immediatamente si spalanca la porta e i padroni di casa si gettano ai loro piedi e li bagnano di lacrime. Finalmente il bimbo alzando tre dita benedice la mensa. Questa benedizione è seguita dal pianto dei fedeli, dallo sparo dei mortaretti e siccome quei tre personaggi non possono esaurire la imbandita mensa, il superfluo si distribuisce ai poveri».
Giuseppe Tranchina, Ustica dal MDCCCLX sino ai giorni nostri, 1886, pp. 94-95
Foto S. Giuseppe 1946: Onofrio Di Lorenzo, Aldo Caserta e Carmelina Patti