Ustica sape

Da Cosenza Salvio Foglia


[ id=4055 w=200 h=180 float=left]Carissimo Pietro,

finite le ferie, si torna alla vita di prima. Riprendo con molto piacere anche questo contatto che mi riporta a Ustica, al piacere di averti conosciuto a casa, ai brindisi fatti insieme a Grazia (che saluto) da Giulia. Ricordi?
Ti allego un brevissimo racconto, che riassume brevemente la sorpresa e l’imbarazzo nel dover apprendere di rimanere forzatamente su un’Isola “isolata” !
Quello di inviare qualche breve riflessione vorrei, per me, che fosse un appuntamento stabile. ci proverò, e, se gradirai, sarò gratificato dalla tua lettura e da quella dei tanti appassionati del tuo blog e di Ustica.
Stai bene. A presto

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“USTICA ISOLATA”

Il belvedere, appena accanto la piazza, è inondato dal sole al tramonto. Lunghe ombre si delineano sempre di più: stanno per vincere la quotidiana battaglia che le oppone al nitido chiarore del pomeriggio.
La luce che avvolge le cose d’intorno è calda, intensa; il mio corpo è completamente preda di questo abbraccio ineffabile, ma forte, così denso di sensuale voluttà, anche se tra breve verrà meno, per far posto, con gelosia, all’intimo approssimarsi della sera…
Il vento agita il mare, strapazza la superficie blu che questa mattina appariva accogliente e maliarda, tranquilla come quella bianca colomba che avevo scorto sul davanzale di una finestra; stava acquattata con le ali ripiegate e gli occhi semichiusi a godere del tepore e degli ultimi bagliori di luce.
Non avevo nulla da fare, ricordo, in quel momento in cui un placido ozio si era impossessato della mia volontà.
In verità avevo deciso di evitare ogni fatica: solo le braccia, appoggiate sulla balaustra, non potevano sottrarsi allo sforzo, mentre gli occhi non volevano abbandonarsi completamente.
La vista del mare mosso, con l’orizzonte che accarezza il cielo e la bianca schiuma di onde alte e non certo gioiose è affascinante: un palco a teatro – con la visione dall’alto rivolta ad un palcoscenico cesellato da una scenografia ridondante – non avrebbe potuto garantire lo stesso effetto.
Mare mosso. Già, mare dapprima calmo, quieto, quasi fermo e poi sempre più lascivo: quante volte accade!
Vento e mare si alleano, anzi il primo predomina sull’altro e vi monta sopra; come su di un magnifico purosangue si lancia repentinamente al galoppo, invitando ad una frenetica danza coda e criniera. La terra si frantuma sotto il colpo degli zoccoli e una scia bianca e polverosa si alza in maniera squilibrata, in attesa di cadere nuovamente o perdersi nell’aria vibrante.
Il mare è imbrigliato da un fantino invisibile e audace, che dirige la sua corsa incurante di ostacoli e barriere, non ama ragionare, lui; si abbatte implacabile senza rallentare fino a quando, nei suoi lunghi giorni di corsa senza freni non cede alla stanchezza e si placa …per poi riprendere fiato e correre ancora.
Mentre gli occhi indagano supponenti ogni angolo di cielo e la mente continua le sue evoluzioni immaginarie, mi accorgo, quasi per caso, che manca tanta gente in giro. Eppure l’isola è piena di turisti: è strano, ma non faccio caso più di tanto, tutto è apparentemente normale.
Lascio il belvedere e, fatti pochi passi, arrivo in piazza. Do una breve occhiata alla facciata della chiesa e mi muovo tra le persone senza fretta, per sedermi ad una panchina.
In tanti parlottano animatamente, con fare interrogativo e serio. Due uomini che si avvicinano parlano quasi ad alta voce e sembrano preoccupati.
Li sento, ora sono a un passo da me. Dicono che l’aliscafo non partirà a causa del mare molto mosso ed in peggioramento.
All’improvviso si affaccia come un orrido spettro la triste prospettiva di non potersi muovere dall’isola, una iattura per chiunque, ma soprattutto per chi perderà aerei, treni, giorni di lavoro, appuntamenti vari e chissà quale occasione…
E’ quasi ora, ed è vero.
L’aliscafo non se ne va da Ustica, non si perde tra le onde, lasciando la consueta lunga scia di schiuma traballante e incerta, rimane immobile in banchina.
Ora siamo in tanti a guardare dal belvedere; l’acqua dell’approdo è quasi ferma, mentre fuori il vento aumenta ancora di più e le onde sono molto alte.
Ora capisco, la soluzione di quel dubbio fugace è lì, oltre il molo; la risposta è su quei marosi aitanti e terribili: manca tanta gente in giro perché un buon numero di persone ha anticipato la partenza, temendo il peggio.
Incontro una vecchia conoscenza che lavora al porto il quale, intuendo la mia agitazione mi rassicura dicendomi: “Domani partirai, vedrai, il comandante è tranquillo, sa il fatto suo !“
Mi sta prendendo in giro e lo fa con un sorriso.
La notte arriva prima, annunciata da nuvoloni non certo incoraggianti: il cielo è nero, cianotico e io, per una volta, non mi sono curato delle previsioni del tempo, non le ho neanche viste o sentite…
Il rumore dei tuoni in lontananza diventa via via più vicino, fino a trasformarsi in boato e gli scrosci di pioggia si alternano a piccole, illusorie, sortite di quiete.
Il pensiero della partenza aveva reso insonne e tormentato quell’intervallo temporale in cui ognuno dovrebbe poter trovare un piccolo spazio di riposo.
Il vento non cala.
Fuori dalla finestra è un continuo sibilare minaccioso. Il ticchettio non è quello dell’orologio, ma delle imposte che vibrano urtando ai fermi.
E’ quasi mattina.
Mi riaddormento fiducioso, non già sperando che l’aliscafo mi porti via alle sette – ho dato per scontato che questo non accadrà, ormai, – semmai confido in un miglioramento della situazione meteo durante la giornata, in maniera tale da partire comunque, sfruttando una corsa qualsiasi.
Al risveglio saluto mentalmente l’aereo che sta per partire da Punta Raisi, sì, proprio quello che, ahimè, ho perso, ciao ciao…
A colazione mangio pane e fichi, una consolazione dai sapori fini e rari…

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